giovedì 26 marzo 2009

DI MAMMA (NON) CE N'E' UNA SOLA


Della libertà e delle sue virtù: l’integrazione
a cura di Anna Grazia Giannuzzi

La primavera mi fa questo effetto terribile, mi faccio un sacco di domande ed il mio cervello si fa acuto e ripetitivo. Fino a che non mi metto a cercare le risposte, trascorro notti insonni a fissare le mie figlie che dormono, e qualche volta russano, alla luce breve della lampada di servizio.
Il mondo scorre tutto alla stessa velocità? Le persone, anche quelle che si amano, crescono davvero in simultanea? E parlarsi fa bene? Ma si riesce davvero a parlare, voglio dire a capirsi? E dopo, cosa succede dopo? Ma un dopo, esiste?
Quali sono gli “agenti trasformatori” delle persone e delle società? Le persone sanno davvero cosa vogliono? E riescono a comunicarlo? O ancora riescono a perseguirlo? E sono capaci di capire dove sta il loro bene?

Le risposte poi le trovo, ma di solito non mi piacciono.Il percorso di ricerca è sempre intrigante.
Userò questo post, che mi auguro finora non vi abbia annoiato troppo, per segnalare due libri che in questo momento occupano nei miei pensieri ogni secondo libero da incombenze strettamente indispensabili e non rimandabili.
La democrazia che non c’è” di Paul Ginsborg, e “La figlia perfetta” di Anne Tyler.
Comincerò dal secondo, che ha in italiano un titolo di cacca (in inglese Digging to America) e che non rende assolutamente quello che succede nel libro, dove di figli e figlie e madri e nonne e nonni e papà ce ne sono davvero tanti e nessuno di loro, (grazie al cielo!) è perfetto, se non negli occhi dell’amore che uno ha per l’altro. Nel libro non si racconta solo di adozione di figli, ma dell’adozione di abitudini e tradizioni, e di modi di essere famiglia e di amare, di sentimenti che non ci lasciano e di altri che non capiamo come facciano a sorgere in noi, di rapporti tra uomo e donna nella coppia, di stranieri e di estranei, di cucina, di giardini, di spezie.
Il libro potrà piacervi oppure no ma, non essendo di un’autrice italiana, è capace di raccontare francamente e liberamente tutte le domande che sorgono spontanee quando si adotta e quando si va a vivere, anche se per scelta, in paese straniero. Non c’è vergogna, ma pudore e coraggio nel farsele certe domande, che ci si fa a volte solo tra sé e sé, e nell’essere quello che si è diventati, nel crescere, anche se la strada percorsa è molto diversa da quella che ci avevano indicato, e persino nel goderselo fino in fondo. La felicità si incontra dove meno te l’aspetti.
Il libro mi ha preso perché, per fare un esempio, mi sono trovata perfettamente in sintonia con le protagoniste, madri adottive, che subiscono pazientemente il racconto delle doglie, del parto e dell’allattamento da parte delle madri naturali fresche fresche, che pare non sappiano parlare d’altro. (Ho notato che spesso le donne quando parlano di dolore fanno riferimento al parto, quasi fosse la pietra di paragone del dolore, e tutto il resto o è di più o di meno, io vi posso parlare dei dolori dell’endometriosi, che sono invalidanti).
Pure mi sono ritrovata nei costumi iraniani di preparare da mangiare per il doppio delle persone che inviti. O nei dubbi della mamma americana su come preservare e tramandare la cultura di appartenenza della figlia. Mentre nitidezza di Maryam, nonna iraniana, mi ha conquistato e secondo me è lei la protagonista prescelta dalla scrittrice, anche se la storia è ben solida e costruita, come fanno bene gli scrittori americani, su due personaggi principali.
La possibilità di immedesimazione di una madre, adottiva o non, italiana è garantita e piacevole. Anche per le nonne, i nonni ed i papà, direi.
Le differenze tra l’Italia ed il Maryland stanno nel fatto che i figli te li portano loro e tu li aspetti all’aeroporto, invece, di andarli a prendere nel loro paese di origine. E nella totale assenza di strutture pubbliche di supporto (ad es. assistenti sociali per il monitoraggio dell’anno post adottivo, creazione di dubbi e problemi inesistenti compresi).

Quanto a Paul Ginsborg ho dubitato per un momento che fosse vero, nel senso che ringrazierò per sempre chi me lo ha fatto conoscere e non smetterò mai di leggerlo. Esiste davvero ed insegna storia all’Università di Firenze. Cioè, potrei persino incontrarlo ed assistere ad una delle sue lezioni. Nel caso, comunque, gli direi che il capitolo su genere e democrazia è un’eccezione infelice in un libro brillante, e accattivante.
Ho trovato spiegazioni rapide e fulminanti per problemi che mi sembrava fossi l’unica a vedere, ma non è così; ci ho ritrovato J.S. Mill, che ha segnato tanta della mia vita accademica e personale, un economista (?) illuminato che ha il gran pregio di aver scritto nel 1869 un libro che si intitola “The Subjection of the Women”, e non dico altro. Ginsborg lo cita ripetutamente e gli rimedia un incontro impossibile, con Karl Marx, persino in Paradiso Marx in paradiso? Leggete.
Mill è citato anche a proposito dei rapporti che in democrazia intercorrono tra sfera pubblica e privata; di come questa divisione artificiale, e funzionale ad una visione del mondo maschile, sia la riproposizione del confinamento delle donne in quella privata e degli uomini in quella pubblica. Mill aveva dichiarato in maniera consapevole e solenne che ciò che troviamo naturale è solo ciò che ci è consueto, mentre al contrario tutto ciò che non ci è consueto lo troviamo innaturale. Molti anni dopo Donna Haraway avrebbe precisato meglio con il concetto di “naturcultura”. Ne parliamo un’altra volta, se vi va.
Insomma se volete farvi un’idea del perché è così difficile vivere la democrazia mediatica in cui viviamo, avere delle idee politiche e praticarle, in Italia, dove non viviamo più (magari senza accorgercene) in una democrazia liberale - ed in Europa – leggetelo. Sempre che non siate felici così.
Dopo la primavera c’è l’estate, stagione in cui mi preoccupo solitamente che le mie figlie non si scottino al sole, non affoghino, non si perdano in montagna, e leggano qualche libro, o almeno permettano a me di farlo. Mi occupo anche della mia cellulite (sempre troppo, troppo tardi).
Tranquilli.



1 commento:

Maddalena ha detto...

Che bella la conclusione del tuo post. Tranquilli. Dai, cerchiamo di aiutarci ad essere tranquille, rassicuriamoci tra noi: anche io periodicamente mi lascio travolgere da mille domande che mi tolgono momentaneamente la serenità. Cerchiamo invece di stare tranquille, rivalutiamo il sano buon senso.

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