venerdì 19 settembre 2008

BRICIOLE D'ESTETICA


Ombre
A cura di Vladimiro Zocca

Sto prolungando la mia permanenza in campagna, immerso nella dolcezza vaqriegata dei Colli Euganei, dove le giornate vengono dilatate dall’intensità del verde smeraldo e del rosso ruggine di un autunno ritardatario. Dilatazione che è estensione dei sensi del cuore e della mente.
Questa situazione extraurbana, lontana dall’accelerato tempo di vita di Bologna, rende particolarmente gradevole la ricerca che porto avanti da qualche mese per offrire un contributo utile ai prossimi corsi di scrittura creativa della scuola diretta da Patrizia.
Tuttavia, la piacevolezza dell’ambiente non mi invita a proseguire la lettura, in verità piuttosto fredda e noiosa, degli ultimi manuali pubblicati sull’argomento.
Allora, mi butto decisamente a capofitto nell’impresa di rileggere al completo, con matita in mano per appuntare e segnare, la “Ricerca del tempo perduto” di Proust, nella speranza di cogliere, come fiori difficili dell’anima e della ragione, spunti e suggerimenti da trasferire nella pratica didattica. Devo dire che avevo già letto l’opera, nella vecchia traduzione einaudiana, più di due volte, nell’arco della mia esistenza che va dall’adolescenza all’età matura; ma, ora, è come se la leggessi per la prima volta – evidentemente, ero stato poco attento nelle precedenti letture o, forse, non ero in possesso di strumenti sufficienti per capirci qualcosa e per fare abitare il mio essere di lettore, in modo non troppo estraneo, le “intermittenze dell’anima” tessute dalle parole dello scrittore.
Cerco, tuttavia, di non fare la solita operazione intellettuale fine a se stessa, data la fama raffinata e rarefatta accumulata nel tempo dalla scrittura dell’autore. Infatti, ho provato una fatica simile a quella di un minatore solitario che cerca di strappare pietre preziose ad una miniera ricca, ma che non si lascia violare facilmente. In un alternarsi di momenti di piacere e di fascinazioni ma, anche, di incomprensione e di vera noia, qualcosa, alla fine, credo di aver trovato.
Nondimeno, era inevitabile, oltre i miei buoni propositi di semplicità, che venissi colpito, nella penultima parte, “La Prigioniera”, da una citazione che Proust fa di Bergson, quando afferma che le parole sono l’ombra dell’anima profonda di un essere. Mi accorgo – forse mi illudo – di essermi imbattuto in una chiave di lettura che mi possa aprire le porte di tutte le opere letterarie che abbia la voglia di affrontare con le armi della curiosità e dell’approfondimento.
A questo punto, incontro, inevitabilmente nel problema del tempo, il filo rosso che percorre l’opera proustiana. Mi rendo conto che le ombre, nelle quali mi immergo incessantemente - le parole - viaggiano portate dall’onda infinita di questa entità magica ed irriducibile che è il tempo.
Io stesso, quando narro, racconto, versifico, descrivo, critico, faccio riferimento a un tempo che, alla fine, non so se sia realmente accaduto o inventato dai miei ricordi o dal mio conoscere, correndo l’incertezza di essere afferrato dalla vertigine di questo dubbio. Poi, mi rendo conto che il tempo è esso stesso ombra, l’ombra delle vite e delle cose passate, presenti e future, che l’incantesimo della parola si illude di fissare in un qualcosa che ha un contorno di veridicità, sia esso una storia, un romanzo, una novella, una poesia, un pezzo critico.
Mi fermo qui perché, anch’io, molto più modestamente di Proust, rischio di essere coinvolto felicemente in un elogio del decadentismo; non tanto nel senso del movimento letterario, ma nel senso del tempo che si consuma, che degrada, “decade”, appunto.
A questo punto, il mio senso interno tenta di avvertirmi che il tempo degradando e degradandosi ti permette di inventare, di trovare, di sprigionare un infinito gioco di ombre dalle mille forme e dalle mille esistenze. La pianto lì con queste elucubrazioni e continuo a cercare. L’unica licenza che mi concedo, attualmente, è quella di attendere ogni notte, pur abbandonandomi a sonni sereni, nella mia camera di questa villa antica sui colli, la visita del fantasma, forse una fanciulla morta in un tempo lontano a me sconosciuto, che mi venne trovare diversi anni fa proprio lì in quel luogo. Quella si, forse, un’ombra salda.

8 commenti:

maggie ha detto...

Io rifletto sempre tanto sul senso del tempo e perdo tempo cercando tempo..quel tepo passato, futuro, presente...o il tempo di un'ombra...comunque, mi piace tantissimo la prima immagine del tuo post, di chi è? è una splendida sovrapposizione di immagini e colori.

Anonimo ha detto...

Il tempo...concetto così astratto e così concreto...ritmo che scandisce la nostra vita, che ci ricorda chi eravamo, chi siamo e chi saremo. Tarchetti in un suo racconto diceva che "la verità è nell'istante". Forse il fututro e il passato sono ombre ed il presente è la luc che permette a queste ombre di proiettarsi sul terreno. Senza luce non c'è ombra...senza ombra non c'è essere umano...senza essere umano non c'è parola.
Complimenti per il post!!
Amelia

IleniaF ha detto...

Maggie, rispondo io per Vladimiro, visto che le immagini le scelgo io. A dire il vero è stata una scoperta fortuita su google immagini, ho cercato alla ricerca del tempo perduto e mi sono imbattuta in questa foto che ho trovato adattissima per il post, anche per via del titolo.
Ed infatti, spulciando meglio su google, questa foto era stata inserita da Nunzy Conti, poetessa siciliana, nel suo blog in un post intitolato Proust, alla ricerca del tempo perduto. Non è stato una pura coincidenza.Ed è il caso di dire che il tempo speso per la rierca non è andato affatto perduto...

Anonimo ha detto...

Vladimiro: ma quando torni?

PFG

maggie ha detto...

grazie Ile

Anonimo ha detto...

Le parole sono ombre, ma non fanno ombra alla raffinatezza della ricerca iconologica di Ilenia, vero esempoi di critica visiva.
Da Vladimiro

IleniaF ha detto...

Grazie Vladimiro, per me è un onore poter scegliere le immagini da inserire nei tuoi posts e cerco di pubblicare con accuratezza quelle che riescono, in qualche maniera, a rendere "l'immagine" delle tue parole.
Non è facile, i tuoi scritti sono sempre molto raffinati.

Anonimo ha detto...

Complimenti Vladimiro per il tuo post! L'ho letto un po' in ritardo, solo or ora, in questa notte ombrosa e tenebrosa. Io che, adepta del nominalismo, in passato ho preferito pubblicare romanzi, come ben sai, con lo pseudonimo di Chiara Parola anziché col mio vero nome di Francesca Falchieri,non penso che la parola sia soltanto l'ombra della nostra anima profonda. Troppo poco! L'ombra, il cui archetipo è stato ben studiato da Jung, è l'immagine delle cose fuggevoli, caduche, del tempo sì, ma anche della morte. A mio parere, invece, le parole sono la nostra anima eterna, tout court. È stato Nietzsche (correggimi se sbaglio, Vladimiro) a dire che l'anima è una parola. Ora, come ho scritto anche nel mio romanzo LA PETITE MORT, secondo me è vero l'inverso: la parola è anima e dunque luce. Sono state, con la loro luminosità salvifica, le parole, la lettura e la scrittura a permettermi di dominare l'anoressia, dichiarando vittoria sul tempo passato della malattia e sulla morte: dopo l'ombra del coma, ecco la luce della parola. Una luce "ossimoricamente" buia?
Francesca

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