sabato 22 settembre 2007

Archi.D.Arte

Cosa è Casa?
a cura di Margherita Matera


È una domanda che mi faccio spesso, soprattutto quando vedo delle immagini di abitazioni strampalate, oppure quando penso ad un abitare differente dal nostro, diverso da quello italiano. Noi siamo per spazi di 25 mq a persona, siamo per spazi, tutto sommato, divisi, soleggiati, areati. Chiaramente mi riferisco a ciò che il committente medio tende a comprare. Siamo per le tende, le piastrelle del bagno, il corridoio, il balcone, magari per le travi a vista. Così sorrido se mi penso comprare o affittare una casa in California, nei paesi Scandinavi, in Giappone, in India, in Africa. Certo, il concetto di “casa” universalmente è riconosciuto come quel luogo d’appartenenza, quel posto in cui possiamo dire “mi sento a casa”, ma in architettura COSA E’ CASA? Si va un po’ per tendenze, lo stile minimal chic colpisce molto, ma mi chiedo spesso, sfogliando le riviste di architettura, alcune delle quali illustrano esempi di abitazioni progettate dai più grandi Architetti del mondo, come fa un professionista giapponese a creare una casa per un committente italiano. Si, si può discutere con il committente circa le abitudini, lo stile, le forme, ma si arriva veramente a comprendere cosa è casa per un italiano/spagnolo/portoghese/americano/inglese/cinese/giapponese/….? Ebbene, non lo so. Progettare uno spazio attorno alla persona è una grande responsabilità, è quasi decidere il suo mondo, la sua visuale, le sue abitudini. Una volta dovevo progettare, per un esame, la disposizione urbanistica di una zona residenziale, all’interno della quale vi erano spazi verdi e vialetti, così io e il mio gruppo di amiche, iniziammo a considerare i percorsi, quelli che per noi dovevano essere utilizzati. Siamo state intere giornate a capire quale fosse la tendenza spontanea delle persone, nel percorrere i tracciati, per essere più chiara, valutavamo quei tragitti spontanei (che si vedono perché non vi cresce più erba) che la gente segna per comodità nel raggiungimento di un luogo. Fatto ciò provammo ad ipotizzare questi percorsi spontanei all’interno del nostro progetto e lì dove interrompeva o modificava la geometria del nostro disegno, mettevamo un ostacolo (siepi-alberi-panchine) così da far seguire il tragitto da noi scelto e progettato. Questo modo di operare è facilmente utilizzato, magari per non sacrificare un’armonia di forme, e non è da condannare perché è una scelta ponderata e di progetto, tuttavia influenza, influenza un percorso, anche attraverso i colori. Quando poi si parla di abitazioni, questo discorso può essere maggiormente sentito, così forse, mi verrebbe da dire, per concludere, che la casa – in architettura – non esiste, o è comunque in affitto perché si abita l’idea di qualcun altro..

5 commenti:

Maddalena ha detto...

Sai Maggie, io credo che un bravo architetto dovrebbe saper interpretare quella che è l'idea di colui che andrà abitare in quella casa, dovrebbe rendere reale ciò che uno pensa. Ho avuto occasione di vedere al lavoro più di un architetto è l'impressione che nè ho tratto è che siano tanto bravi da rasentare a volte l'artistico, ma non tanto pratici. Ho visto realizzare un bancone di un bar, in mezzo a delle colonne che dovevano ricordare una foresta. L'idea era originale, ma ti assicuro che praticità zero. Non ti sarai offesa spero :-) .

Anonimo ha detto...

no, maddalena, perchè dovrei! in architettura non sempre è possibile coinciliare la forma con la praticità...sono scelte! è al pari di un quadro, ci può essere tecnica, ma non un'idea e viceversa...la bravura sta nel riuscire a rendere entrambi gli aspetti...eppure, comunque, uno dei due in un modo o nell'altro viene sacrificato.

Anonimo ha detto...

Sarà che di architettura non capisco niente, infatti l'edificio nella foto mi ha fatto ridere... si sarà ispirato alle immagini dello scorso tsunami. No comunque secondo me la praticità è soggettiva; non si può partire da questa e ricavarne una forma???
Cmq bell'articolo.

Anonimo ha detto...

ciao Michele, la foto era volutamente scelta per evidenziare i "fuori schema" che si possono creare...per ribaltare le idee stereotipate! la praticità è sicuramente soggettiva e, per il discorso di unirla alla forma, non si può discutere, secondo me, di precedenze...è il solito quesito dell'uovo e della gallina...! il risultato architettonico (a meno che non si parli di scatole e prefabbricati insulsi) è una forma d'arte che deve avere, per sua natura, la caratteristica di essere fruibile nel miglior modo possibile. il problema nasce nell'immediato, dalla scelta del tecnico e questa, essendo una scelta, non necessariamente è conforme ai canoni dei più. ci sono delle norme per gli spazi, così come per le tecniche costruttive, ma l'assemblaggio delle diverse parti è soggettivo. mettici, inoltre, che non sempre il risultato rispecchia a pieno l'idea del tecnico, ma deve adeguarsi a quella del committente (e credimi è un problema) per cui parte di quello che vediamo è un compromesso (anche economico).

Diomira Pizzamiglio ha detto...

E quando l'architettura incontra la domotica si parla di case futuristiche, ma pochi pensano all'accessibilità.
C'è una importante fiera biennale a Bologna, Handimatica che tratta il tema dell'accessibilità a tutto campo, dalle nuove tecnologie per il web, la didattica, la mobilità e non ultimo la domotica.
Sentirsi a casa spesso per un disabile è un concetto impossibile da realizzarsi.

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