martedì 7 settembre 2010

Di mamma (non) ce n'è una sola

di Anna Grazia Giannuzzi

Ritorni

Tra la fine del mese di agosto ed i primi giorni di settembre 3 coppie che conosco, anche per averle seguite sul blog che raccontava dal vivo le fasi della loro adozione, sono rientrate in Italia in formazione famiglia a quattro o cinque componenti.
Per i genitori adottivi il rientro in Italia dopo il soggiorno all’esterno ha un significato completamente diverso da quello che assume per i loro figli, opposto direi.
Mentre i genitori ritornano ad affetti originari e ad un ambiente familiare e rassicurante, ben conosciuto e nel quale si esprimono a loro agio, i figli e le figlie, una volta atterrati in Italia definiscono l’abbandono irrevocabile di tutto quello che conoscevano prima e che per un certo periodo hanno anche condiviso con i genitori. Non ritroveranno più nessuna cosa o luogo o persona o sapore a cui erano abituati. Nel mio caso il riso non era più lo stesso anche se continua a chiamarsi riso, e così i fagioli e il pollo, (mi chiedevo: ma in Italia il pollo con cosa lo fanno?). Il discorso alimentazione, anche se non trascurabile, perché il rifiuto temporaneo del cibo non è insolito, anche se non deve preoccupare più di tanto, resta nella superficie degli affetti e del rapporto. Di solito il rapporto con il cibo non è un terreno di ricatti e di esercizio del potere nei rapporti tra madre e figli, o almeno si sa che può non diventarlo. Si tratta più che altro di familiarizzare con nuove abitudini alimentari e nuovi sapori: ancor adesso le mie figlie la mattina per colazione preferiscono bere il latte freddo, e non caldo o tiepido, o del succo di frutta appena estratto dal frigorifero. Un po’ di elasticità mentale serve ai genitori ad accettare “queste stranezze” e a non vietarle solo perché noi non ci siamo abituati, ed anche ad evitare di farle vivere ai figli come “stranezze”, ma solo come diverse abitudini. La tolleranza e l’apertura mentale sono molto importanti in questi momenti e possono, invece, venire a mancare, proprio perché i genitori sono ritornati ad un terreno conosciuto e già esplorato e desiderano che i figli vi si adeguino. Talvolta i comportamenti sono inconsapevoli, anche se sicuramente sarebbe utile che i genitori si interroghino sui loro perché e rimettano in discussione anche loro tante cose che hanno dato per scontare fino a che non sono diventati genitori di quei bambini. Ricordo di una coppia la cui adozione non andò a buon fine, nella generale costernazione e profonda tristezza, che accompagnava il piatto a tavola con la considerazione che il cibo italiano non doveva non piacere ai figli, perché lo sanno tutti che la cucina italiana è la migliore del mondo. I bambini non avevano ovviamente la minima idea di cosa volessero dire, tranne forse che li stavano accusando di non sapere qualcosa che non potevano sapere, e la rigidità dei genitori cominciò a creare nei figli un muro di diffidenza e la sensazione che sarebbero stati costretti ad accettare cose e situazioni che non capivano, a subire. E per loro significava subire ancora, cioè continuare a subire, i comportamenti sbagliati degli adulti.
Parliamo poi del modo di vestire, che nel nostro caso è anche il modo di presentarsi agli altri e finisce, anche se non vogliamo crederci, con l’influenzare il modo in cui gli altri ti accolgono, soprattutto, se ti vedono per la prima volta e conoscono superficialmente la tua storia. Tanti abiti i bambini non possono più indossarli al loro arrivo in Italia: il giorno prima decollano da un posto in cui i 23 gradi sono la temperatura minima annuale, atterrano in un altro nel quale la mattina al risveglio il termometro segna 15 gradi. Questo impedisce di usare capi ai quali sei affezionato: ai bambini, come anche agli adulti, succede di avere un indumento preferito al quale si affida anche una funzione di coperta di Linus o di portafortuna. Noi rientrammo a novembre e, dopo pochi giorni, una mattina ci svegliammo con la neve, mentre a Bogotà finiva la primavera e vestivamo leggeri e potevamo indossare sandali aperti.
E poi c’è la cameretta. Spesso attacchi di “amore acuto” e il condivisibile desiderio di “fare nido” spingono i genitori ad arredare la stanza che accoglierà il figlio o la figlia nei minimi dettagli. A volte sono costretti ad usare colori neutri perché non sanno se avranno un figlio o una figlia. Non c’è dubbio che nei lunghi giorni dell’attesa, soprattutto dopo che è stato effettuato l’abbinamento, aiuta molto comprare vestiti, libri e giocattoli per i propri figli e curare la stanza in cui li vedremo giocare, dormire e studiare. Io ho sognato ad occhi aperti ed ho sospirato molto seduta su uno dei lettini, e mi sono lanciata (io proprio io insieme a mio marito) a dipingere in rosa fucsia tutte le pareti non appena ho saputo che erano femmine; ma anche qui ci sono pro e contro da valutare.
Non è affatto scontato che sentano subito propria una stanza, anche se creata apposta per loro e con tanto amore. Nei primi tempi, a volte, le difficoltà di addormentamento sono dovute proprio al fatto che i bambini non ritrovano nulla di ciò a cui sono abituati: nel buio o nella penombra i profili dei mobili non sono familiari e non c’è nulla in quella stanza che loro conoscano bene ed abbiano esplorato a sufficienza. Se i bambini che arrivano sono abbastanza grandi, una volta attrezzata la stanza delle cose indispensabili, non sarebbe male completare l’arredamento insieme a loro, lasciando che scelgano oggetti o giocattoli o quadri. Un’uscita insieme a mamma e papà con questo scopo consente di raggiungere molti risultati insieme. Per prima cosa dimostra al figlio o alla figlia, che sono ben accetti e rispettati i loro gusti e preferenze e che nella nostra casa avrà un posto tutto suo, nel quale esprimersi liberamente. Poi consente di cominciare a mostrare loro la città, partendo dalla collocazione del palazzo, con il nome della via ed il numero civico, continuando con negozi e negozianti, semafori, ponti, gelaterie, asilo e scuola, il lavoro di mamma e di papà o di amici, il cinema, il teatro e avanti così. Dopo la casa, infatti, la città è il secondo spazio vitale completamente nuovo con il quale i bambini dovranno mettersi in relazione, nel quale dovranno un po’ alla volta muoversi autonomamente ed attivamente.
Poi c’è l’accoglienza di parenti ed amici di cui parlare e pure la scuola.
Ma per il post d’inizio di questa nuova stagione di Rosa Stanton, direi che basta così. Buon rientro a tutti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

a proposito di gusti e di cibo... uno dei miei figli al mattino, anzichè latte e biscotti, fin dai primi giorni che ci siamo conosciuti, ha sempre preferito un panino con l'affettato....sconvolgente... ma ci siamo adattati.
besos
Monica

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...