martedì 18 maggio 2010

Fari sui diritti

di Mattia Baglieri
Amburgo: se la Marcia della Pace arriva anche qua…

Ci sono momenti in cui l’incipit è una ripetizione. Ci sono momenti di rabbia in cui si vorrebbe che le ripetizioni finissero. Scrivo questo post dal mio appartamento sulla Osterstrasse, arrabbiato. Stamattina nel mio ufficio all’Unesco, dove sto collaborando ad un progetto sull’educazione non formale, è arrivata la brutta notizia della morte di due militari italiani in Afghanistan. Missione di pace, la chiamano, missione di peace-keeping o peace-enforcing al massimo. Ma come non rendersi conto che siamo imperterriti nell’edulcorare quello che ci fa male con contorsioni retoriche? Quella in Afghanistan è guerra allo stato puro. Ed è peggio delle guerre convenzionali in quanto la missione non è chiara, non sono chiari i nemici, non sono chiare le ragioni dell’impegno, non è sicura la logistica, si è smarrito – se mai c’è stato lo jus in bello. Tutti i teorici di guerra, li vedo con i miei occhi, si stanno rivoltando nella tomba: ecco il cinese Sun Tzu, ecco l’olandese Ugo Grozio, ecco anche il comandante prussiano Von Clausewitz! Proprio Clausewitz aveva detto che la guerra altro non è che la continuazione della politica con altri mezzi. Ecco allora che in Afghanistan occorre ritrovare la bussola della politica, ritirare gli eserciti, incentivare l’attività dei costruttori di pace civili. Il poeta inglese Wilfred Owen rompe la bolla di sapone del mito: durante la prima guerra mondiale scrive sentenziosamente che “è una vecchia bugia quella per cui è dolce e onorevole morire per la patria”. Preferisco queste parole sante rispetto alle corbellerie latine del “dulce et decorum est pro patria mori”, segno che i ghirigori da ars oratoria sono falsi oggi come ieri, quando si perdon le gambe, le braccia, la vita. Un’altra provocazione: vale di più la vita di un ragazzo italiano rispetto a quella di una mamma afghana? Di più quella di un giornalista americano rispetto a quella di un pescivendolo iracheno che salta in aria assieme a decine di connazionali mentre si arrabatta per il pane quotidiano? In base a quali canoni? Badare che non si tratta di ragionamenti marxisti, si tratta del buon senso di far lavorare un po’ oltre il cervello. Ma non vorrei peccare di ubris. Ieri per i venti chilometri che dividono Perugia da Assisi la Marcia per la Pace ha compiuto 18 anni, migliaia di persone di centinaia di associazioni hanno domandato lo sviluppo di un’altra cultura, per la giustizia, la tutela delle donne, della libera informazione, dei diritti degli individui, al fine di attuare de facto l’articolo 3 della Costituzione italiana che nega ogni distinzione a prescindere da condizioni personali o sociali che ci rendono diversi, unici, al contempo eguali ed incommensurabili. Noi Italiani ad Amburgo dovevamo esserci, a fomentare la contaminazione di buone pratiche. Ecco le telefonate agli amici del gruppo Italiani ad Amburgo, ecco la corsa per mandare il fax con il nostro itinerario alla Polizei della Libera città Anseatica, ecco l’arduo reperimento delle bandiere arcobaleno della pace. Ci siamo trovati ieri mattina alle 12 in StephansPlatz e da lì in marcia (non marziale stavolta!) per la pace sull’Esplanade, e poi sull’AussenAlster. Quale città più di Amburgo, quasi completamente distrutta nel secondo conflitto mondiale, può mostrare i segni decapitati, lo schifo che è la guerra? Dovremmo rileggerlo più spesso l’articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana, che sancisce il “ripudio” della guerra. E poi dovremmo interrogarci profondamente se le “limitazioni di sovranità”, al fine di conquistare pace e giustizia, siano una copertura convincente e sufficiente per il consueto – troppo vecchio, ahimè – “armiamoci e partite”. Ma come dice Edgar Morin “anche il pessimismo è utopia”, laddove l’idealismo della pace può farsi realtà. Ieri a Perugia, ad Assisi, ad Amburgo lo abbiamo visto coi nostri occhi.

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...