domenica 22 novembre 2009

Psychè

“Il tabù della verginità” freudiano, quasi 100 anni dopo
a cura di Susana Liberatore


Sigmund Freud scriveva tra il 1917-18 un testo che oggi, se non approffondiamo molto, risuona forse un po´obsoleto. “Il tabù della verginità”, come i testi di quell´epoca, tentava di spiegare la sofferenza nevrotica attraverso la tesi dell´inconscio e la sessualità, considerando però, il versante femminile.
Per rendere conto di questa ipotesi, in questo testo come in tanti altri, la strategia freudiana è stata il paragone tra l´uomo nevrotico contemporaneo, e i popoli primitivi. In questo senso, il concetto del “tabù”, generalmente collegato alle pratiche magiche-religiose delle tribù primitive della Polinesia, diventa il concetto di tutto ciò che coglie il senso del “sacro”, proibito, segnato. Si riferisce allora a una cosa non nominabile, oppure ad un argomento o tesi che non si possono discuttere o criticare, o a una persona che non si deve o non si può avvicinare.
Effetivamente, Freud ne aveva parlato in precedenza in un bellissimo testo del 1912-13: “Tótem e Tabù”, descrivendo dettagliatamente questa funzione del tabù di indicare il sacro, e anche l´ inquietante, il pericolo, la proibizione, o qualcosa di spurio. Aggiunge, come particolarità, che si tratta sempre di un´interdizione, una restrizione, senza premesse e soprattutto, di origine sconosciute. Un ´altra questione da sottolineare, è la sua ambivalenza: perchè il tabù provoca paura e anche, un certo fascino che induce alla sua trasgressione,
Tornando al testo a cui ci riferiamo, Freud vincola il tabù alla femminilità. Ed è questo il nostro interesse!.
Per un lato, parla del tabù culturale sul commercio sessuale femminile in generale, però, per altro, dice una cosa ancora stupefacente. Freud ci dice che è la donna, essa stessa un tabù.
Per sviluppare questa ipotesi, ci invita a considerare che così come gli uomini primitivi avevano paura verso il pericolo, l´uomo contemporaneo vede la donna come altra da se stesso, che gli è incomprensibile, strana, e perciò “nemica”. La donna sarebbe pericolosa perchè si fa vedere incompresa, singolare, cioè, come un enigma. Non a caso, Freud finisce i suoi fruttiferi anni di lavoro chiedendosi: -“Allora, cosa vogliono le donne?”.
Dovrà arrivare Lacan, 50 anni dopo, per chiarire il versante femminile del tabù freudiano. Egli esporrà nel suo Seminario XX: “Ancora”, una tesi ridotta a frase che mi sembra ancora possa scandalizzare: “La Donna non esiste”: cioè , ella si coglie “una per una”, e ogni volta che la si tenta di nominare, di ridurla a un concetto, un significante, non si fa altro che male-dire o diffamare, giocando sull ´equivoco con l´espressione “si dice donna” (on dit-femme): quindi la si “dit-femme”, diffama (diffâme).

7 commenti:

Diomira Pizzamiglio ha detto...

Sono impressionata, non avrei saputo e potuto scrivere nulla di meglio.
Interessantissimo.

Susana Liberatore ha detto...

Il genio è stato Freud! Come è possibile che ancora sia così attuale? Incredibile!

Anna Grazia Giannuzzi ha detto...

Che spunto interessante, ma tra il che cosa vogliamo e meglio non nominarle (per la serie non son degno di te, tu meriti di meglio), il mondo rimane degli uomini!
Giovanna Covi, una professoressa universitaria di Trento ha coniato il termine "la dividua" per parlare di donne e della loro presenza al mondo. Quando finisco di leggerlo magari ne parlo anche io.
(La Dividua— A Gendered Figuration for a Planetary Humanism" (in Edward Said and Jacques Derrida: Reconstellating Humanism and the Global Hybrid, a cura di Mina Karavanta and Nina Morgan, Cambridge Scholars Publishing, 2008).

Anonimo ha detto...

Andiamoci piano con il presunto senso della femminilità che Freud avrebbe per primo valorizzato.Io, dal mio versante maschile di oggi mi sento di sottolineare l'orientamento maschilista dello psicoanalista austriaco - forse inevitabile considerato il fatto che siamo ai primi del '900- con la sua "invidia phalli" e il suo "complesso di Elettra" che relegavano geneticamente e culturalmente la donna ad una irreversibile condizione di inferiorità. Ben prima di Lacan,negli anni '20, ci vorrà Melanie Klein, una psicoanalista donna,a sfatare la costitutiva inferiorità femminile con la sua teoria dell'oggetto, che prende il posto della freudiana teoria delle pulsioni, osservando bambini e bambine fin dai primi mesi di vità.
Certo, a merito di FReud va l'aver posto per primo su di un piano scentifico la questione delle differenze sessuali. D'altra parte, poco prima di morire, con grande onestà intellettuale,Freud si arrenderà, abbandonando l'indagine sulla femminilità; affermerà che per lui la donna restava un "continente nero", vale a dire che non ci capiva niente.Piuttosto, quello che preoccupa è che sulla donna, la maggioranza dei maschietti -purtroppo ci sono anche delle femmine- occupanti posti di responsabilità politica nel nostro paese, abbiano scavalcato Freud a ritroso, finendo nell'Ottocento.
Da Vladimiro

Susana Liberatore ha detto...

Vi ringrazio tantissimo per questi commenti!. Anna Grazia, sono molto incuriosita da questo concetto: "la dividua”. Ne scrivi qualcosa ?. Per quanto riguarda il commento del caro Vladimiro; sono d´accordo con i limiti della teoria freudiana. Però, quando ho riletto il testo citato, ho trovato un riconoscimento di essi, in una certa maniera, un rispetto da parte di Freud dell´enigma che facilmente si potrebbe chiudere. La donna come tabù é il nome dell´indicibile, che denota non solo la non inferiorità femminile, bensì, la impossibilità di catturar-la.

Anna Grazia Giannuzzi ha detto...

Certo Susana, quando sarò in grado di parlarne, dico in termini di competenze, siccome per me è materia nuova, vi parlerò volentieri del lavoro di questa mia amica.
Quanto al commento di Vladimiro sono d'accordo e soprattutto sulle donne che hanno "scavalcato Freud a ritroso". Ciao!

Anonimo ha detto...

I suoi interventi sono sempre molto affascinanti

Lucy

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