mercoledì 4 novembre 2009

DOMINO CAFFE'

L'arte del narrare
A cura di Hope

Istintiva e profondamente radicata, intuitiva e irresponsabile, l’arte del narrare si palesò caparbia ai miei occhi, molto prima che ne avessi coscienza. Non la cercai e non le chiesi di essermi amica. Fu lei a cercare me e mi trovò nel momento stesso in cui il destino scelse di tendermi la mano.
Mi fu chiaro fin da subito che sarebbe stato difficile venire a patti con tanta spocchiosa e briosa arroganza. Che avrebbe preteso molto ma che in cambio mi avrebbe concesso molto più di quanto io sarei stata in grado di darle.
Tutto sommato da parecchi anni ci sopportiamo con fraterna dedizione, con benevola solidarietà, con generoso entusiasmo, con proficuo cameratismo.
Non vi è un solo giorno in cui ella non sia al mio fianco e sia capace di negarmi la sua straordinaria assistenza.

Il suo braccio è più forte del mio e il più delle volte mi sostiene.
E mi lusinga, talvolta, pensando che io me la beva.
E’ capace di tessere avventure che recano il sapore dell’ignoto e dell’incoscienza, della leggiadra beatitudine riservata agli eletti e della più divertente teatralità destinata agli animi in cerca di evasione. Non sempre del resto ella trova in me una valida collaboratrice e probabilmente si dispera arrovellandosi nel tentativo di scovare capacità nascoste o saldamente ancorate a lidi davvero irraggiungibili.
Tuttavia non ha mai dato segni di insofferenza e pare non sia nelle sue intenzioni battere in ritirata dichiarandosi sconfitta.
A suo dire, e credetemi è molto facile darle retta, ciò che importa davvero è interessare qualcuno e per primo chi scrive. Dilettare la stanca gente che lavora e ancor di più la stanca gente che non fa nulla, è cosa assai impegnativa e fine ultimo cui deve tendere colui che tenta la strada faticosa dello scrivere.
L’illusione è un cammino bizzarro, se lasciato unicamente nelle sue mani capaci. Ha bisogno di direttive, di una testa e di un cuore. Che qualcuno la guidi quando lei rompe gli argini, quando perde il senso della proporzione, dello spazio, del tempo stesso.
Lo dicevo appunto poc’anzi che è difficile convivere con una simile despota, ma che ad un certo punto ci si può intendere, se solo siamo capaci di starla a sentire.
L’arte del narrare predilige chi ama il silenzio e chi non ha fretta, chi delizia se stesso innanzitutto con la ricerca e la scoperta di altri testi già scritti, già raccontati, già narrati. Che solo la reale conoscenza della scrittura altrui, la sua irrinunciabile compenetrazione ci rende consapevoli della strada da intraprendere e capaci di mettere nero su bianco idee altrettanto singolari e meritevoli di lettura.
Ella non conosce vanterie, non cerca la fama, non brama il denaro, non smania per raccontare facezie idiote attraverso quotidiani e telegiornali, non si allea con un credo politico, non spasima per sedersi in un salotto, non civetta con gli intellettuali, non si mischia con le mode e le tendenze.
L’arte del narrare è un’arte antica che per prima sa ascoltare e sa vedere oltre le più banali apparenze e sa discernere ciò che ha davvero valore, ciò che va preservato con semplice gratitudine da ciò che in definitiva è solo un facile approdo per annoiati fannulloni.
Ella è artigiana, nel più puro senso del termine e rende un semplice artigiano colui che di essa si ciba e sopravvive.
E chi legge ciò che questi artigiani hanno da dire, il più delle volte lo fa liberamente, spinto da un arcano quanto inspiegabile richiamo.
Colui che scrive avendo coscienza del dono immeritato che gli è stato concesso, anche se una sola volta nella vita, anche con un unico scritto, può tendere all’immortalità, lasciando “gli altri uomini un po’ più felici di come li ha trovati” (Arthur Conan Doyle).

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