giovedì 5 novembre 2009

BRICIOLE D'ESTETICA


Anima, dove abitano le emozioni.
a cura di Vladimiro Zocca

Le considerazioni sulla carenza di sensibilità dello spazio negli scrittori e nei filosofi di oggi mi spingono ad alcune riflessione sull’anima come spazio del pensare in quanto luogo di ricerca del proprio essere.
Nel momento in cui l’anima acquista nel Quinto Secolo una dimensione spaziale e diventa, con Agostino di Ippona, la casa delle emozioni, con lo scorrere del tempo storico si interiorizza ulteriormente e diventa uno dei termini più ambigui dell’esistenza umana.
Oggi, l’anima è definita attraverso diversi sinonimi, anche fra loro contraddittori: psiche, mente, coscienza, cuore, inconscio; infatti, Umberto Galimberti parla di “Equivoci dell’anima”.
Jung giungerà a identificare nell’anima il concetto dell’arcaico inconscio collettivo, infittendone l’oscurità, ma caricandola di fascino misterioso.
A partire da Platone l’anima lotterà incessantemente per ricongiungersi e identificarsi con il corpo dal quale il grande filosofo greco l’aveva separato.
Cartesio, poi, identificando l’anima con il pensiero, le aveva tolto definitivamente il suo statuto spaziale in quanto abitazione dell’emozioni, fatta di carne viva, leib, come la chiameranno i Fenomenologi del ‘900.
Nell’Antichità classica l’anima è concepita in un’accezione fisica come parte del respiro dell’universo che fa vivere, animando, appunto, il corpo degli esseri umani; Democrito la definisce pneuma, soffio di atomi.
Con l’avvento delle prime religioni monoteiste, l’Ebraismo e il Cristianesimo, l’anima viene teologizzata: è il soffio di Dio che dona la vita al mucchio di terra appena sbozzato dal quale è costituito il corpo umano.
In un tempo di crisi violenta e di stravolgimento dei valori dell’antichità, Agostino fa dell’anima l’estremo rifugio e l’ultima cura delle sofferenze dell’uomo sulla terra, le cui emozioni possono acquisire senso nel suo impegno di introspezione.
Veramente il santo pensatore le chiamerà “passioni”, con la loro naturale connessione al sentire sofferente del corpo; Il termine “emozioni” apparirà nel lessico filosofico e letterario solo nel 1800, l’epoca dell’apparire delle scienze umane.
Tuttavia, l’anima è una casa senza pareti, come la concepirà anche il contemporaneo Plotino, che considera l’anima il concetto più infinito che ci sia.
Le emozioni dell’uomo, che abitano questo luogo dai confini allargantisi all’infinito, sono produttrici di memoria, di ricordo, di rimembranza, di rammemorazione, sottraendosi al tempo ciclico dell’eterno ritorno degli antichi, scandito dal sorgere e dal calar del sole.
Nasce l’idea sfuggente del tempo soggettivo che mette in comunicazione l’anima con l’esterno e il suo tempo lineare, quello dell’orologio, il tempo storico, il tempo della mondanità, che ha un principio e un orizzonte destinato.
Un tempo, quello soggettivo che, incommensurabile, appartiene soltanto al sentire e al percepire del singolo individuo.
Un tempo che, tramite l’azione della memoria, può narrare le emozioni; allora, le passioni e le emozioni diventano oggetto privilegiato della scrittura e del fare artistico.
Inconsapevolmente, in quel lontano secolo di sofferenza vengono gettate le fondamenta di quella disciplina che nell’800 sarà chiamata “psicologia”, animata dal miraggio, tuttora presente, di diventare scienza a tutti gli effetti.
Una parte significativa della letteratura del ‘900 cercherà di narrare questo “tempo interno”, come lo chiama Husserl, un tempo senza punteggiatura simile a un flusso; un “flusso di coscienza” lo definisce il filosofo americano Williams James, il fratello del grande scrittore Henry.
Lo stream consciousness si trasforma nel monologo interiore della scrittura senza punteggiatura di Joyce, che vuole cogliere il ritmo della bellezza provocata dalle stasi nell’accendersi delle emozioni.
E’ in questi intervalli ritmati della bellezza del reale che opera la creatività della scrittura, segnando l’essenza della realtà avvolti nelle due temporalità.
Proust, tenendo presente che l’anima è fatta anche della carne viva del corpo, nomina l’anima cuore e insegue nella sua ricerca del tempo perduto, appunto, le “intermittenze del cuore”, quando “a tratti, la comunicazione fra il mio cuore e la mia memoria si interrompeva”.
In queste intermittenze i personaggi immaginari della narrazione si sovrappongono ai personaggi concreti della vita passata dello scrittore, aprendo la creatività del tempo che si rapprende ai luoghi della memoria, sottraendoli alle dimenticanze dell’oblio.

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