mercoledì 18 marzo 2009

BRICIOLE D'ESTETICA


Carceri dell'essere
A cura di Vladimiro Zocca

Tempo fa, discutendo con Maggie, proprio su questo blog, riguardo ad una sua acuta riflessione su Ledoux, curioso architetto del Settecento francese, mi è capitato di fare un paragone con un altro insolito artista del tempo, il veneziano Gian Battista Piranesi, geniale architetto mancato, ma grande, soprattutto per le forme e le immagini liberate da un’estetica che definirei “nera”.
Questo confronto ha acceso ancor di più il mio interesse per quegli artisti che hanno avuto, nel secolo dei lumi, la libertà del coraggio di esprimere il loro fare arte oltre i confini delle convenzioni e delle regolarità imposte dalla ragione.
Allora, mi è venuto naturale indagare e scrivere su Francisco Goya con le sue visioni pittoriche dominate dall’oscurità e dalla paura, quando “la ragione genera mostri”.
Oppure, di venire affascinato dalla musica di Amedeus Mozart, là dove Don Giovanni, il sensuale seduttore, viene trascinato all’inferno dal Convitato di pietra.
Il caso ha voluto che in questi giorni sia uscita presso Bompiani una puntuale biografia di Giovan Battista Piranesi, scritta da Pierluigi Panza, La croce e la sfinge, anche se la narrazione della sue presunte scelleratezze di vita, promessa nel sottotitolo, non aggiunge nulla di nuovo a ciò che gia sapevamo.
Tuttavia, il libro mi ha offerto l’occasione per approfondire alcuni aspetti oscuri della sua estetica; un’estetica non sistematica, parto di una mente che l’ultimo biografa chiama, appunto, nera.
In mancanza di ulteriori dati biografici, non mi è restato che riconsiderare per l’ennesima volta le sue incisioni più significative, in rapporto alla sua “scelleratezza”, i carceri di invenzione o capricci di carceri, dove capriccio e invenzione sono le parole chiave del suo modo di fare arte.
A questo proposito, voglio sottolineare la venezianità del “capriccio” come genere pittorico, affermatosi con il vedutismo di Francesco Guardi e con il popolare virtuosismo prospettico di Gian Battista Tiepolo, in quanto paesaggio inventato o struttura architettonica dove la composizione formale è inventata per essere immersa in un tempo immaginario, storicamente inesistente, un tempo interno dell’anima.
Situazione estetica, del resto, teorizzata dal suo quasi coetaneo tedesco ma a lui sconosciuto, Immanuel Kant, quando, nella Prima Critica, cerca di delineare i limiti della ragione, ma che alcuni uomini, specialmente se artisti, aspirano a superare per immergersi nel buio profondo del”noumeno”, l’inconoscibile e l’impensabile, la terra del non c’è, come un vuoto carcere dell’essere.
Allora, l’architetto Piranesi è sopraffatto dall’archeologo prima e dall’antiquario poi, che scava rovine nelle viscere della terra di Roma e di Pestum, per conservare reperti al fine di non smarrire il filo che lo può ricondurre alle strutture della mitica architettura originaria, quella perduta del Tempio di re Salomone, archetipo dell’arte costruttiva, le cui misure erano state dettate da Dio.
Come ci informa Panza, Piranesi predilige l’arte dei popoli semiti, quella egizia che collega agli Etruschi e a Roma arcaica, rigettando il misurato classicismo alla greca imposto dall’autorità dell’odiato Joachim Winckelmann, per instaurare un nuovo ordine architettonico, diverso dagli ordini dorico, ionico e corinzio; un ordine supplementare, “obliquo”.
Anche se questa ricerca rischia, nelle sue applicazioni decorative, di farne il precursore dell’orientaleggiante arte kitsch in Europa.
In questa prospettiva, il nostro artista segue inconsapevolmente l’insegnamento anticlassico di Goethe, secondo il quale dalle rovine bisogna trarre l’incommensurabile, non proporzioni di razionalità misurabile.
Così, il “formante” di Piranesi si poneva contro il “formato” di Winckelmann, in una filosofia del labirinto che prefigura un mondo privo di centro, dove l’ordine è perdita del senso segreto dell’essere.
Attraverso un ossessivo culto della rovina il nostro architetto mancato, trova, crede di trovare, le sue forme e le sue strutture nel tempo e nello spazio di una storia soggettiva, scandita dai tempi della sua anima oscura.
Con i suoi carceri Piranesi sogna la notte di strutture sostitutive: finché gli è possibile, segue gli spazi misurati della ragione – in fondo è stato nominato tra i topografi e i misuratori della città di Roma – ma, poi, inevitabilmente si incammina in sotterranei sentieri che, oltre i confini della ragione, non conducono da nessuna parte.
Allora, nell’accentuato contrasto tra i bianchi e neri e il terribile chiaroscuro delle sue incisioni, lo spazio si colora del dantesco aere perso dell’incubo, come carcere intricato di camminamenti senza fine e di infiniti sgretolamenti.
Charles Nodier, romanziere ottocentesco dell’orrore, parlerà di prigioni metafisiche che sembrano cervelli, dove l’elemento fondamentale è la spirale, con, appunto, i suoi scaloni tortuosi e smisurati, proiettati verso un cielo inesistente, privi di balaustre, dominano oscure voragini.
Aveva una vera e propria fissazione formale per la conchiglia, madre naturale della spirale, che riteneva una specie di “ventre materno” di tutte le forme, l’archetipo dell’architettura.
Sono spazi architettonici che, tra sensazione inquietante di sprofondamento e tensione vertiginosa di ascensione, producono un effetto di spaesamento dell’essere.
Da questo punto di vista, i carceri diventano metafora delirante di accumuli di senso offerti all’osservazione di un Freud che non c’è.
Sembrano primordiali luoghi di detenzione ricavati da antiche rovine, le cui strutture racchiudono dentro di loro una volontà frustrata di alterità, di essere altre, in una dimensione sublime ed inquietante della memoria perduta del tempo passato.
Le rovine annunciano la profondità di un tempo perduto che diventa tempo dell’anima, un tempo interno antistorico; in un gioco temporale perverso che presiede all’affiorare della malinconia, la nevrosi del secolo; una malinconia morbosa quasi novecentesca, che anticipa l’oggetto della psicoanalisi e l’angoscia heideggeriana per l’esistenza come avamposto del nulla.
Tempo interno come negazione del tempo lineare che consuma le cose e le trasforma in rovine, ma aprendo, in questo modo, ad una rinascita nella magia creativa dell’invenzione capricciosa.
Possiamo dire che il nostro artista offra i primi fondamenti teorici di un’estetica della rovina, che rende fantasmatica e trasgressiva la sua visione della realtà: non a caso, al momento della sua morte, possedeva un dipinto paesaggistico del napoletano Salvator Rosa, il primo pittore che, nel ‘600, osò introdurre nei suoi paesaggi cupe atmosfere misteriose che emanavano orrida bellezza
E’ convinto, infatti, che solamente la rovina fisica e la distruzione delle strutture, permettano l’atto della creazione artistica, tramite una misteriosa e arcana “ars combinatoria” degna della speculazione magica di Giordano Bruno.
Era riannodato, così, il filo nero che lo collegava al lato esoterico del Manierismo cinquecentesco, passando dal barocco – quello si intriso di sublime scelleratezza – dei bui squarciati di luce di Caravaggio.

2 commenti:

maggie ha detto...

Ciao Vladimiro,
molto interessante questo pezzo sul Piranesi, bellissima la definizione che vi ho trovato di stile "obliquo", contrapposto al formalismo classico del padre convenzionale del neo-classicismo. Metti in luce il binomio tempo ed essere e l'essere nell'essere quale carcere. Il ritaglio della spirale e la conchiglia, come matrice di questa, è un concetto che personalmente mi rimanda alla chiesa di Ronchamp, Notre Dame du Haut firmata LeCorbusier. Architettonicamente quella costruzione rispecchia il senso delle tue carceri. Ci sono dei campanili altissimi, stretti lunghi, che curvano in alto. Ne ricordo uno completamente tinteggiato di rosso e, dal basso, guardando in alto senza vederne la fine, sembra di essere stati inghiottiti da se stessi, dalla propria ragione. Il senso delle prigioni, di quelle non tanto della ragione, quanto le prigioni della follia, di quel guizzo capriccioso che non esce mai completamente, è un senso trasversale, obliquo appunto, che parte con l'uomo e passa tutto il suo tempo. Giungendo fino a noi. Dentro di noi.

Anonimo ha detto...

Cara Maggie, trovo molto stimolante condividere elementi di un tema estetico o di un argomento artistico-filosofico. E' un modo piacevolissimo di allargare la sensibilità e di fare cultura aperta all'interesse degli altri; ti ringrazio per questo. Un abbraccio. Da Vladimiro

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