martedì 23 dicembre 2008

BRICIOLE D'STETICA


INFERNI CREATIVI DELL’IO
A cura di Vladimiro Zocca

Il ritorno del fantastico inquietante nella narrativa contemporanea, costituisce, in fondo, la necessità di difendere la finzione dalla corrosione alla quale la sottopone la realtà; corrosione tanto più virulenta quanto più è brillantemente patinata dalla superficie del quotidiano.
E’ allora che, da narratori o da fruitori, sentiamo il bisogno di calarci nel profondo della nostra carne, per attingere colori, segni, forme dall’angolo oscuro dell’essere, fino a raggiungere la fitta ombra del mistero, quell’ irriducibile fondo-resto che neppure le pratiche psicoanalitiche sono riuscite a rischiarare.
D’altra parte, è la stessa psicoanalisi che, attraverso la nozione di inconscio, propone un’iniziazione all’oscurità.
Dietro quella porta socchiusa della nostra esistenza, che lascia intravedere l’inferno dell’anima, affondano le radici dell’umano, la cui linfa di follia, risalendo dal fuori-del-tempo primordiale, lungo il tronco del tempo romantico dell’Ottocento, è giunto, oggi, fino ai rami del post-moderno.
Questa discesa agli Inferi e ritorno, per usare il titolo dell’ultimo scritto di Elémire Zolla, ha dischiuso gli scenari, prima dei romanzi gotici e dell’orrore, poi di quelli polizieschi del crimine.
L’attacco del principio di realtà alla follia dell’essere, che racchiude inferni privati, avviene, ancora oggi, per due vie: quella della ragione illuministica, che troppo facilmente si è identificata con il reale, nonostante Kant, individuandone i limiti, abbia riaperto al mistero della non-ragione, e quella sensista dell’empirismo inglese che ha aperto la mente ai segreti della carne e del corpo umano.
Non è un caso se la letteratura nera con i suoi vampiri, e quella poliziesca con i suoi criminali e i suoi investigatori, si sia irraggiata dal mondo anglosassone, a cominciare dal grande Edgar Allan Poe, nelle letterature di ogni paese.
Scendere nei sensi profondi della narrazione significa, quindi, passare dall’insostenibile leggerezza dell’essere all’insostenibile complessità del male annidato nelle pieghe nascoste del tempo.
“i crimini sono fatti, cose realmente accadute” è una recente affermazione del giallista italiano Giancarlo De Cataldo, che è pure un giudice di Corte d’Assise.
La banalità del male, tuttavia, fa correre il rischio a scrittori e artisti, nostri contemporanei di smarrire il senso della bellezza; a questo proposito ricordo il recente ultimo libro del critico d’arte Stefano Chiodi La bellezza difficile, in cui afferma che la bellezza stessa è oggi difficile da edificare e da decifrare, a causa del diaframma della realtà che la altera e la falsifica, fin quasi ad annullarla.
L’estetologo Federico Vercellone sostiene, addirittura, che la bellezza, nel Novecento, sia un fantasma che alita nell’aria della contemporaneità, senza mai prendere definitivamente corpo; un fantasma che risulta incompiuto quando tenta di farsi corpo reale.
Tutto ciò era stato intuito negli anni Sessanta negli Stati Uniti dalla Pop Art e, in particolare da Andy Wahrol che, con i collaboratori della sua Factory, scope la normalità della bellezza attraverso una vera e propria epica dell’arte come merce.
D’altra parte Waldemar Deonna, archeologo dall’affascinante scrittura, ne’ Il simbolismo dell’occhio dice che l’ io tende ad accomodarsi nell’occhio d’ombra della notte per generare mostri.
Ma il best seller di Stephenie Meyer, dove agisce un vampiro postmoderno, bellissimo liceale dal fisico atletico, con capelli color del bronzo e occhi dai riflessi di miele, ha per titolo Twilight, che in inglese vuol dire penombra, crepuscolo: un vampiro, dunque, che si è dovuto adeguare agli usi e costumi piccolo-borghesi di un paese della provincia americana, perdendo l’originalità che, con il pieno della notte, in passato i Romantici avevano donato ai loro incubi letterari.
Allora, esiste una realtà profonda negli anfratti dell’io che genera la finzione della creazione artistica, il monstrum, il prodigio dei Latini, e c’è una realtà quotidiana che oppone resistenza con la sua violenta razionalità e tenta di definire le malattie dell’anima, ponendo i monstra sotto la tutela della Psicopatologia della vita quotidiana: nel 1904 Sigmund Freud pubblica, con questo titolo, un lavoro diventato famosissimo nella letteratura scientifica delle malattie nervose
A questo punto, è necessario, forse, seguire il suggerimento di Peter Kingsley, innovativo studioso del pensiero presocratico: invita a rigettare la critica post-illuminista degli ultimi due secoli che ha interpretato la storia della prima filosofia greca come progressiva evoluzione verso un ideale molto vago, ma potentemente seduttivo, di ricerca di un principio razionale della realtà.
Bisogna, per contro, ricostruire la catena continua di una tradizione alternativa di interpretazione che, in modo sotterraneo, è sopravvissuta nei secoli, ripercorrendo il filo, dal colore perso, della follia originaria, che collega il regno oscuro delle Grandi Madri all’esoterismo alchemico del Rinascimento.
Un percorso infinito nel sogno del mito dove la maschera della realtà non può più deformare il volto autentico dell’essere.

3 commenti:

maggie ha detto...

Ciao Vladimiro,
Buon Natale innanzitutto. Come sempre per i tuoi scritti devo prendermi tempo per pensarci. Questo post l'ho letto diverse volte e mi sono sempre fermata lì dove viene "smarrita la bellezza"...perchè puntualmente mi chiedo ma cosa è bello?
l'intuizione di Wahrol è molto provocatoria, estrememente terrena, nulla legato a concetti di bellezza classica...ma oggi, per chi come te si occupa d'arte, cos'è bello? rispetto a cosa.
Perchè quando mi chiedono di architettura io baso il mio concetto di bellezza su una sorta di sublime, non necessariamente armonioso. Non credo che il Novecento non abbia prodotto bellezza, forse perchè è un secolo che amo, forse perchè trovo ogni giorno il bello. Il mio bello.
Ma quella bellezza della quale parli nel tuo post, dove va ricercata?

Anonimo ha detto...

Ciao Maggie, intanto ti auguro un Buon Anno. Quanto alla bellezza, prima di tutto tu sai meglio di me che è un fatto o un evento molto concreto perchè investe i sensi del corpo fatto di carne di chi crea e di chi fruisce, ma anche di chi compra e di chi vende. Poi, faccio un'affermazione molto banale ma ancora inconfutata: la bellezza è ciò che piace, prima individualmente,poi collettivamente. Il punto è proprio questo:trovare forme, segni, colori che, risaliti per gli anelli della catena dell' essere dell'artista, sappia toccare gli occhi dell'anima di più fruitori e più artisti possibili, insomma degli altri, in quel dato momento del tempo, ed essere in grado di uscire dal tempo stesso. Ecco perchè dico che la bellezza è un fatto originario, prima del cominciamento del tempo, quando il nostro essere era tutt'uno con l'infinito.
Da Vladimiro

Maddalena ha detto...

La bellezza per me a volta trascende completamente dalla fisicità. a volte mi sonotrovata ad ammirare la bellezz di uomini e donne che in realtà non lo erano affatto esteriormente, ma che avevano un'"allure" tale da renderli bellissimi.

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