mercoledì 9 luglio 2008

Briciole d'estetica

MAL DI LETTERATURA
a cura di Vladimiro Zoccca

Ripenso spesso al romanzo di Francesca Falchieri, “La petite mort”, e del perché abbia suscitato in me un così caldo interesse, come raramente mi è capitato nei miei ultimi tempi di lettura, anche riferiti a scrittori di qualità.
Allora, ho voluto attivare la rete delle mie conoscenze letterarie - quelle che si sono sedimentate nei sensi profondi dell’anima mia durante un’ormai annosa frequentazione di letture - per coglierne l’intima motivazione.
Così, è affiorata alla superficie della mente il ricordo di una passione che si era accesa, nei miei primi anni di università, nei confronti di uno scrittore e di un poeta di Trieste, i grandi Italo Svevo e Umberto Saba.
Tanto, che decisi con il mio professore di lavorare ad una ricerca sul romanziere per l’esame di letteratura italiana.
Una passione fiorita su di un terreno emozionale, quasi precritico, che, tuttavia, mi aveva permesso di dilatare la mia sensibilità per la letteratura del Novecento, inseguita da me, in quel periodo, con grande intensità come contrappunto e come integrazione ai miei studi filosofici.
Dei due letterati mi aveva preso il loro modo di utilizzare la malattia come acuirsi dei sensi del corpo e della capacità di comprendere le contraddizioni, fra comportamento e volontà, fra coercizione e desiderio, dell’esistenza umana.
Ebbene, la disincantata consapevolezza della loro sensibilità mitteleuropea, secondo la quale l’essere umano è un coacervo di malattie, riscattabili in particolari condizioni, mi aveva fatto trovare la connessione con i modi della scrittura di Francesca.
Forse, da questo punto di vista, sento la malattia di Francesca, più raffinata nella sua attualità.
Probabilmente, perché, mentre cerca di fuggire dal corpo nel quale è come inscritta con la consapevolezza delle parole, nello stesso tempo cerca di comprenderne i segni d’amore, ripudiandolo solo in superficie, ai margini spaziali del suo essere.
Se lo porta sempre dietro nelle sue peregrinazioni, donandogli un inconfessabile consistenza di possesso, in giro per terre e per paesi.
Un corpo di passaggi che nasconde una sorta di erotismo da corpo sottile, astrale, come quello inteso dagli gnostici moderni e dai teosofi, vibrante di energia e dalla carnalità apparentemente occultata nella dimenticanza del sé.
Ma quella di Francesca è una dimenticanza corporale dell’intermittenza, alla quale la forza creatrice della rammemorazione offre l’evidenza dello sguardo: i lunghi capelli biondi, gli occhi azzurri, il cappotto blu.
Come in una corrispondenza di amorosi sensi letterari scopro che il primo romanzo scritto da Francesca, “Id(r)a”, da me letto successivamente, mi rivela che Svevo è il suo scrittore preferito.
Stabilisco, allora, un’altra connessione: Robbe-Grillet, scrittore tanto amato da Francesca, considera lo scrittore triestino fondamentale per la formazione del Nouveau Roman.
Le Mal du siècle dei Romantici, attraverso il rovello sveviano, ritrova la fisicità del corpo vivo nel Thomas Mann della “Montagna incantata”.
Infatti, la malattia nelle sue espressioni più significative, diventerà, poi, il nucleo di condensazione narrativa dei grandi romanzi dello scrittore tedesco.
Da quel momento, nella letteratura del secondo Novecento, la malattia diventa strumento di analisi e di introspezione, senza perdere più il contatto del corpo stesso gettato, irrimediabilmente per i sentieri della terra.
In questa prospettiva, Francesca agisce con la scrittura del suo corpo in un nouveau mal du siècle, una malattia nuova, perché tutta coniugata e declinata al femminile.
Malattia vissuta e agita in modo personalissimo e anomalo, rispetto alle sue caratteristiche definite dalla letteratura scientifica.
L’anoressia vissuta sia come fuga che come dialogo con il corpo proprio, attraverso l’esplosione liquida del proprio inconscio, ma che non riesce ad essere espropriato delle emozioni che esprime con la magia delle parole.
Anoressia che, quale impulso di libertà, è rivendicazione delle ragioni del proprio essere è generatrice di memoria, di ricordo, di rimembranza.
La rammemorazione della temporalità creatrice, ispiratrice delle più belle pagine proustiane, che solo la letteratura del corpo può materializzare in tocchi, in odori, in sguardi del colore.
Anoressia che Francesca riscatta dalla sua condizione patologica, secondo l’ipotesi sveviana, tramite la creazione artistica della scrittura.
Allora, il dipanarsi delle parole scritte diventa nostalgia di un corpo di scrittrice che si fa anima e poi si rifà corpo e, ancora, ritorna anima, in un infinito circolo dell’eterno ritorno.
Un corpo tra essere e parvenza, come lo definisce Francesca stessa, attraverso il suo vissuto parentale, tra ontologia e fenomenologia dell’essere.
A questo punto, la parola “malattia” perde il suo connotato negativo; mantiene solo la radice di male per diventare “malia”.
Malia che incanta con l’arte della parola e connette tra loro quelle anime che vogliono intraprendere – e raccontare - viaggi meravigliosi, rammentandosi, talvolta, del proprio corpo vivo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ringrazio infinitamente Vladimiro per il bellissimo post sulla mia opera: la sua critica letteraria diventa essa stessa arte, suscitando in me un piacere immenso.Sono contenta che pure lui ami Svevo, con cui io ho in comune non solo l'ironia, ma anche l'istanza metanarrativa, cioè l' esibizione del costruirsi stesso dell'impianto narrativo attraverso il ricordo, la riflessione. Inoltre la mia Id(r)a somiglia un po'a Zeno, individuo abulico e infelice, capace non di affrontare la realtà ma di soccombervi, tentando di nascondere a se stesso la propria inettitudine: la malattia di entrambi è da assimilare alla crisi di un'intera società, ormai priva di fedi e valori sicuri. La cultura di Svevo poggia soprattutto sulla frequentazione del pensiero di Freud e sulla conoscenza dei classici non solo italiani e tedeschi, ma anche francesi come Flaubert. Quest'ultimo, colpito in vita da gravi crisi di nervi, soffrì i tormenti del «mal du siècle», conservando sempre questo dualismo tra una tendenza romantica e una realista. Comunque, se il mio scrittore italiano preferito è Svevo, quello in ambito francese forse è Maupassant, di cui ho parlato nel mio secondo romanzo ID(R)A -IL MARE(pubblicato con lo pseudonimo di Chiara Parola),anche lui affetto da malattia nervosa e da problemi psichici. Dopo un tentativo di suicidio a Nizza, Maupassant fu internato nella clinica del dottor Blanche, il medico del poeta Nerval, altro scrittore malato, morto suicida, dopo diverse crisi di follia. In quella clinica Maupassant morì senza avere ritrovato la lucidità, dopo diciotto mesi d'incoscienza quasi totale. Maupassant utilizzò l'esperienza crudele conferitagli dalla malattia nella sua produzione, soprattutto nelle novelle fantastiche. Lui stesso, prima di sprofondare nella follia, si interessò allo studio della psicologia e delle malattie mentali, di moda verso la fine del XIX secolo, e presentò nella sua opera qualche caso: la nevrastenia, il feticismo, l'ossessione e il doppio. Sono soprattutto questi ultimi due temi a farmi sentire molto vicina a Maupassant.
Francesca Falchieri

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