martedì 24 giugno 2008

9 mesi e 1/2

OBESITA' VIRTUALE
a cura di Ely


Il titolo dell'argomento, di cui parlerò oggi, mi è stato dato come spunto in un incontro formativo sull'educazione e sul ruolo degli educatori nelle associazioni di volontariato.
Ed è sorprendente scoprire quanto, di ciò che ho potuto apprendere, si potrebbe, anzi si dovrebbe, applicare non solo nei casi più difficili, ma anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni.

Obesità virtuale. Titolo o vero problema?

Negli anni della guerra e del dopoguerra, il più importante e primario bisogno era cibarsi. Poi vestirsi, curarsi, istruirsi, avere una casa, una macchina, e così via.
Nei giorni nostri questi bisogni non possono più considerarsi tali, sono la normalità. Almeno per la maggior parte della popolazione.
Ciò che si percepisce ora, invece, non è più avere il bisogno di un qualche cosa, ma quello di desiderare. Dal bisogno si è passati al desiderio.
Ed in questa importante trasformazione, come ci si è adeguati? Come il ruolo dell'educatore entra in gioco?
E non mi riferisco al ruolo dell'educatore esclusivamente nella sua forma più istituzionalizzata, ma più in generale a tutti coloro che in qualche modo partecipano a questo importante processo, consapevolmente e non, e nei diversi contesti sociali: dall'ospedale in cui si nasce all'università, al mondo del lavoro, e così via.
Insegnare ad un altro essere umano a crescere, a vivere in questa nostra società è, infatti, un compito molto arduo, difficile. E siccome non esistono dei modelli preconfezionati, genitori, familiari, insegnanti, educatori devono far appello, oltre a tutte le loro conoscenze e competenze, alla capacità di sapersi adattare e plasmare alle diverse esigenze delle persone che si trovano innanzi.
Anche in una stessa famiglia, spesso, i criteri utilizzati per un figlio possono non andar bene per un altro.
Ed in questa dimensione temporale, in cui proprio il tempo sta perdendo il suo significato, si sta in affanno, alla continua ricerca di soluzioni che tamponino emergenze quotidiane le quali, conseguentemente, rubano energie preziose a quello che è l'obiettivo principale: l'equilibrio di una persona.
Quando parlo di obesità virtuale, di cui avrete sicuramente sentito parlare in qualche studio proveniente dagli Stati Uniti, mi riferisco a ciò che è ormai l'ultimo gradino di questo fenomeno: viviamo in un mondo fatto più di immagini, di astrattezza che di realtà, concretezza e sostanza.
Il problema dei nostri giorni e del futuro dei nostri figli sta diventando questo eccesso di vuoto, di impalpabilità. E' vero che il progresso ha i suoi vantaggi e che non è possibile tener lontano i giovani da tutto ciò che si ritiene pericoloso per il loro equilibrio psico-fisico, ma come insegnargli che ciò che virtualmente è reso possibile e innocuo, nella vita reale o non esiste o può far male, molto male?
Sarà per questo che alla fine dell'incontro una domanda mi rimbalzava freneticamente nel cervello: cosa posso fare io da genitore e come persona ad aiutare mio figlio a non farsi risucchiare da questo vortice?
Come figlia di una generazione in cui i valori "valevano" ancora qualcosa, trovo già così mille difficoltà a trasmettere ciò in cui credo a mio figlio. Senza contare lo sforzo impiegato per combattere certi inutili e stereotipati conformismi, luoghi comuni, strategie di marketing super aggressive, e chi ne ha più ne metta.

La situazione mi ha colpito, ha messo in luce una realtà che avevo già percepito, ma di cui non ero abbastanza consapevole. Non da questo punto di vista. Mi rendo conto che lo sforzo non può essere del singolo, lo scopo dev'essere comune. Occorre riempire di contenuto questa virtualità. Riflettendo seriamente sul fatto che ogni cosa, come e soprattutto il progresso tecnologico, dev'essere uno strato superficiale di un'esistenza che ha potuto formarsi conoscendo ciò che di vero e di reale c'è sul nostro pianeta. E magari spiegare che le le patatine fritte non crescono nei campi così come te le vendono...

Forse sono stata drastica, posso aver avuto una visione esageratamente pessimistica. Forse in Italia non è proprio così.
O forse anche qui da noi certi fenomeni stanno prendendo piede, ma magari, per poterci difendere, per non farci fagocitare, ci creiamo delle microdimensioni, delle aree a misura d'uomo in cui, mantenere il controllo, è ancora possibile.
E voi in che dimensione vi trovate? Condividete queste mie riflessioni?

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