domenica 13 aprile 2008

DI MAMMA (NON) CE N'E' UNA SOLA


Niente di più pratico di una buona teoria.
A cura di Anna Grazia Giannuzzi


Dunque, eravamo rimaste al punto in cui io cercavo di capire come si fa ad essere una buona madre. Quando mi guardai dentro per cercare la mamma che sarei potuta diventare mi accorsi che non c’era nessuno. Per troppo tempo non avevo fatto altro che dire: questo non lo farò, questo non mi piace, questo non ci penso proprio e quest’altro… ma siamo matti? Non avevo pensato a sostituire il vuoto lasciato da tutto quel ciarpame polveroso, che si era accumulato nel corso degli anni, riguardo quell’aspetto della mia vita sul quale erano tutti d’accordo che non c’era niente di cui parlare: mi sarei sposata e avrei avuto dei figli, come mia nonna, come mia madre, come mia sorella
. La “grande donna nuova” che volevo diventare cominciò ad urlare che per me nulla sarebbe stato COME quello di un altro. Io come gli altri non facevo proprio niente, niente ma niente e che sicuramente c’era un modo di pensare diverso, un modo di vivere la maternità diverso, un modo diverso di amare ed educare i figli, un modo diverso di essere felici. Sapevo di potercela fare, ma non sapevo camminare su quel nuovo terreno, non sapevo come nutrirmi per quella fatica e nemmeno sapevo quando era il momento di fermarmi a riposare. I miei sentimenti non erano differenziati dalle sensazioni corporee, avevo urgenze fisiche che riconoscevo come bisogni psichici. Fu in quel periodo che entrò nella mia vita Giorgia, che oggi approfitto per ringraziare, una volta per tutte, e che mi portò a capire cosa dovevo fare. Giorgia, che se n’è andata poco tempo fa. Davvero mi dispiace di non credere nella vita dopo la morte, perché almeno potrei ancora immaginare di rivolgermi a lei.
All’inizio della relazione di terapia mi presentò una specie di finestra divisa in quattro riquadri, ci dovevo scrivere o disegnare, non ricordo più esattamente, cose che riguardavano il mio futuro, che cosa volevo realizzare o immaginavo, tipo me stessa a sessant’anni, etc. Mi rifiutai categoricamente e ancora adesso non sarei sicura di poterlo fare. Sul mio futuro riuscivo a sognare, facevo fatica ad immaginare. Lei sorrise al mio rifiuto imbarazzato ma fermo. Pensavo che mi avrebbe detto che se non lo facevo non si poteva andare avanti. Pensavo di essere davvero un caso patologico.
Invece: - Va bene, prova a vedere se ci riesci e se ti va di farlo.
Sembra che la maggior parte della popolazione adulta desideri avere dei bambini, sani e felici e fiduciosi di sé. Compresi che se volevo arrivare fin lì avrei dovuto recuperare la bambina che ero stata io, medicarle le ginocchia se era caduta e asciugarle le lacrime, nutrirla, ascoltarla, coccolarla e portarla per la mano a diventare grande, incontro alla madre che volevo diventare, che avrebbe presto abbracciato tre bambine, di cui per certo sapevo solo che avevano conosciuto quando è freddo l’acciaio del rifiuto.
- Dovrai accontentarti di essere una madre sufficientemente buona.- Mi diceva spesso. E questa mi sembrava una buona teoria. I primi tempi pensavo che una sufficienza era il massimo cui potessi aspirare, ma temevo che non sarebbe stato abbastanza per le mie figlie.
– Mi renderò ridicola. –
– E questo ri preoccupa? –
– Dovrei essere onnipotente. -
– Pensi di esserlo ? –
– Non vorrei che soffrissero, ma non potrò evitare che soffrano. Soffriranno anche per colpa mia.
– Questo ti fa soffrire ?
Ero ancora io il problema, dunque? Come sempre, non mi ero data abbastanza da fare. Anche se Giorgia mi faceva irritare con le sue domande, che mi sembravano stupide o semplici ripetizioni delle mie affermazioni, devo ammettere che lei è stata l’unica persona al mondo di cui mi sono fidata ciecamente.
Da quel minimo gesto di fiducia si originò per me una rivelazione sconcertante: solo il mondo del diritto è fatto di regole precise, per ognuna delle quali si conosce pure la sanzione. La vita vera no; è tutt’altro, semplicemente non è prevedibile. Finora avevo seguito solo regole che mi avevano resa infelice. Non era vero che non c’era nessuno disposto ad aiutarmi, bastava che mi guardassi davvero intorno. La mia infanzia era stata caratterizzata dalla sopportazione per quelle che io credevo domande intelligenti, che erano state, invece, considerate piccole eccentricità che non avrebbero mai costituito l’eccezione alla regola. Nella mia vita adulta non era così. E nemmeno dovevo arrabbiarmi con Giorgia, mia madre, o non si sa chi, perché nessuno mi diceva le regole, mentre mi sembrava che tutti quanti tranne me sapessero esattamente cosa dovevano fare: non ci sono regole, o meglio ognuno trova le sue.
Questo pensiero mi aprì due strade: la strada della mia responsabilità personale e la strada della libertà dagli errori del passato, segnando un distacco definitivo dalla mia famiglia di origine e dagli schemi comportamentali che tradizionalmente si tramandavano da donna a donna.

Negli ultimi tempi Giorgia mi chiedeva se non sentissi che le bambine fossero un peso per me, per i miei progetti di scrittura, tra il lavoro ed il nuovo impegno dell’Università dove avevo avuto l’opportunità di portare il discorso dell’adozione, legandolo agli studi in atto sui concetti di intercultura e multiculturalità.
Posso ancora rispondere di no, che è dannatamente vero che i figli richiedono sacrifici enormi, di tempo, di energie, di interessi e di attività.
Ma se non ci fossero loro, ed io come sono adesso, avrei quasi tutto il tempo che voglio, ma nulla di cui raccontare.

2 commenti:

Maddalena ha detto...

Cara Anna Grazia, segui il tuo buon senso, penso sia la via migliore.

Anonimo ha detto...

-Ma se non ci fossero loro, ed io come sono adesso, avrei quasi tutto il tempo che voglio, ma nulla di cui raccontare-
Perchè non avresti nulla da raccontare?
ciao antonella

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