mercoledì 11 maggio 2011

Di mamma (non) ce n'è una sola

di Anna Grazia Giannuzzi 

La spina... ma che importa?

I primi rapporti con i genitori strutturano il modello cognitivo di ogni bambino, cioè la visione di sé e l'impostazione che diamo ai rapporti con gli altri. Un bambino maltrattato si vede non amabile e finisce con il pensare gli altri, gli adulti come non affidabili.
Noi genitori adottivi durante la lunga attesa pensiamo solo ai nostri figli che arrivano e non pensiamo ai problemi che portano con loro e diverranno presto i nostri. Non pensiamo che dovremo conquistare la loro fiducia, o che potrebbero avere seri problemi a scuola. Ci dicono, però, gli esperti che i maltrattamenti subiti nella primissima età hanno conseguenze a lungo termine; anche quella che possiamo definire come indisponibilità psicologica verso il bambino può avere conseguenze devastanti sulla sua psiche. E che le conseguenze negative sono varie. Le più estreme i pensieri suicidi ed il suicidio, l’uso di droghe e l’abuso di alcool. Nel mezzo le difficoltà scolastiche e l’espulsione o l’abbandono del ciclo di studi.

Tuttavia, se ripenso alla mia infanzia, o a quella di amici e conoscenti, e mi informo un poco, non mi sento assolutamente spaventata, rispetto alla scelta adottiva ed alla storia di disagio affettivo delle mie figlie.


Mia madre, che non riteneva ci dovessero essere smancerie tra madre e figlia, quando le chiedevo se mi voleva bene, rispondeva che dovevo meritarmelo il suo amore.

Un’ amica che ha subito un tentativo di stupro all’interno dell’azienda paterna è stata accusata dal padre di averlo provocato con il proprio comportamento; e, comunque, quella persona non si poteva certo licenziare.

Al figlio di un mio amico sorpreso dalla madre a frequentare siti porno, il padre ha consigliato di continuare a farlo; però di nascosto dalla madre: le donne non capiscono il sesso.

E tralascio volutamente le storie che i media ci regalano di abusi e molestie sessuali, di prigionie imposte ed in genere di violenze fisiche e psicologiche.

Insomma, oggi come ieri le situazioni di incapacità genitoriale, la povertà affettiva e la rinuncia al ruolo ed alla funzione educativa, sono presenti ovunque. Tra tutte le situazioni negative spicca l’assenza, non solo fisica, ma soprattutto mentale, di entrambi i genitori e l’abbandono del ruolo di educatore a favore del rilancio di un’autonomia che lascia i figli in balia di loro stessi, alla ricerca di significati ed alla continua sperimentazione dei propri limiti.

Che cosa allora impedisce che queste sofferenze negate trasformino in tragedie identiche e parallele la vita di ciascuno di noi? Come abbiamo fatto e come possiamo fare a sorridere, amare la vita e le stesse persone che ce l’hanno resa così difficile e dolorosa?

Il fatto è che mentre sembra che il dolore strutturi il mondo e lo renda univoco, spesso, invece, incontriamo qualcuno o accade qualcosa che ci dà l'esempio che le cose possono andare diversamente e che noi possiamo farcela. Qualcuno la chiama resilienza e la considera un processo, uno sviluppo attraverso il quale, nel tempo, il bambino acquisisce l’abilità di usare le proprie risorse interne e quelle esterne per negoziare con successo con le avversità.

Un motore potente e fantastico che si può allenare, incentivare ed il cui sviluppo si può favorire lavorando, ad esempio, sulle proprie convinzioni ed aspettative e cercando di allontanare quelle negative, che ci fanno sentire bloccati, o credere che sia impossibile cambiare e migliorare.

Un alleato per noi genitori, per tutti i genitori, di fronte alle avversità della vita.

Il dolore, ci dicono bisogna abbracciarlo, accoglierlo per non soffrirlo più. Come a volte capita che allunghiamo la mano per prendere una rosa attratti dal suo profumo, e la spina …ma che importa? Sanno di buono le vite dei nostri figli e fioriranno. Come le rose.

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...