martedì 8 febbraio 2011

Di mamma (non) ce n'è una sola

di Anna Grazia Giannuzzi

Un incanto nero



È tutto un incanto nero. Gli adolescenti hanno gli occhi lucidi di sogni, opachi dei desideri insoddisfatti, si muovo a scatti, come se l’energia che li attraversa parta da interruttore che loro non possono comandare. All’improvviso la voce sale almeno di tre toni e non se ne accorgono. Ti saltano addosso come se avessero tre anni, e sono alti  un metro e sessanta. Le cose succedono, ci sono e loro in mezzo, ma dove esattamente?

Ho letto da qualche parte sul web che l’adolescenza è un periodo di tempo che va dagli  11 ai 18 anni e che serve per preparare il bambino ad assumersi le responsabilità della vita adulta. HAHAHAHHAHAAHHAHAHAHA! E ancora HA!
Ho letto su un numero particolarmente interessante di Hamelin (www.hamelin.net)

“La rinuncia alla dimensione pedagogica comporta una forma di ammutinamento paradossale: in una nave che procede a vista, senza mappe, ad ammutinarsi sono i capitani, le guide, chi ha diretto fino a questo punto la nave stessa verso la deriva.”

Adesso ci siamo!

Un figlio adolescente non è il tuo bambino che è stato morso d un alieno allora per questo fa così.
Un figlio è sempre una domanda continua di senso, di significato, un perché dietro l’altro, un’indagine spietata su chi sei mamma donna e papà uomo.
E nemmeno gli insegnanti possono essere risparmiati. Con la crescita tutto questo appare molto più vero e pressante.
Il genitore di un adolescente non può più fare affermazioni in cui non crede o crede a metà, e non può più dare risposte incongruenti. Non può chiedere al figlio di tenere comportamenti che lui stesso non sa mantenere. Non può sottrarsi a domande cui non  è facile rispondere senza mettersi minimamente in discussione.
L’adolescenza non è una malattia e contrastarla non ci porterà da nessuna parte. Tutta la manfrina della medicalizzazione dei problemi degli adolescenti rivela che abbiamo dimenticato la nostra stessa fragile umanità. Siamo tutti tristi a volte, o ansiosi, e questa non è una malattia è un modo normale di reagire alle sollecitazioni della nostra vita. 
Se tutti i giorni lavoriamo per mantenere in piedi e funzionante un mondo che pretende di rendere istantanea ogni soddisfazione, non possiamo insegnare ai nostri figli a investire oggi nello studio e sacrificarci, per un domani: la proiezione nel futuro si perde ne buio. E forse il loro futuro ce lo siamo già giocato noi ai dadi, e abbiamo perso.
Una mia amica che lavora nella pubblicità è entrata in crisi perché il cliente per vendere prodotto di pulizia della casa vuole un pubblicità basata sulla casalinga felice. Probabilmente la farà, non vuole perdere la commessa, non vuole che un collega maschio prenda il suo posto, etc etc. Ma potrà farlo “impunemente”? Cioè potrà farlo senza la intera condizione della donna ( e delle sue due figlie ancora piccole) non ne sia compromessa, anche se impercettibilmente può sembrare al momento? Il presso di questa scelta è molto più alto di quello che può sembrare.
Ci piace l'idea di avere dei figli che sanno cosa vogliono, ma noi lo sappiamo? E siamo davvero in grado di aiutarli a capire cosa è meglio per loro? Non sarà che la malattia degli adolescenti è un virus che colpisce soprattutto gli adulti?

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