Una notte al museo
“The Georgia O’Keefe Sensory Remix” at the Phillip Collection after 5 recita l’invito.
Il secondo museo d’arte contemporanea d’America ospita un party per festeggiare il successo della mostra e videoinstallazioni di artisti emergenti ispirate alla vita e alle opere dell’artista.
Chi interverra’?
gente vestita per farsi fotografare nella sezione Style del Washington Post;
artisti e derivati che si muovono con studiata indifferenza tra una sala e l’altra e dissertano sul significato di un estintore; vegliardi pieni di soldi e levrieri nelle loro case dai colonnati finto italiani. La risposta esatta e’: none of the above. Se sei abituata a leggere “Page Six” qui non troverai nulla di commestibile. Anche se ti sembra di conoscere piu’ Vronski di quello che sarebbe normalmente accettabile, si sa che la vita fuori dalla carta e’ spesso diversa.
Nella luce dorata del tramonto, tutto e’ piu’ bello, e allora perche’ vedo queste donne in Birkenstock, pantaloni di lino sformati e camicione da hippie? Forse e’ un omaggio alla O’Keefe che si aggirava per il New Messico in camicia da notte? Le superano in orrore quelli della tribu’ del cappello: baschi, cappellini da baseball, cuffie, visiere, cappelli da cerimonia (ma quale?) del diametro di una parabola abusiva, fiori e frutta e piume e...un cilindro. Credo che alcuni necessitino di porto d’armi.
La prima installazione e’ in un ex-stalla, insomma uno di questi ambienti cosi “in” right now. Dopo l’ex centrale idroelettrica della Tate Modern e’ tutto un pullulare di ex casali, ex conventi ed ex soffitte. La stanza e’ spoglia, se si escludono un paio di panche di legno e dei bruciatori d’incenso sparpagliati, ma niente tace: ululati di lupi, vento che soffia tra il fogliame, canti dei nativi d’America, la voce della defunta fuori campo che dice cose tipo “per sopravvivere alla calura era necessario stare sdraiati sotto la macchina nelle ore piu’ calde” e stare attenti ai serpenti aggiungerei.
L’artista e’ accanto alla panchina, forse parte dell’arredamento, con camicia di lino sotto giacca grigia cangiante, Borsalino di paglia (ma non siamo in un interno?) e ...una collana a due fili d’osso...forse rubata ai nativi.
Poi una citazione dal Flauto Magico: Papaghena compare, una visione di piume multicolori, o forse era un pappagallo antropomorfo che frulllava da un tavolo all’altro senza sosta. C’è anche un raduno di vetero femministe, lo urla la grande abbondanza di ascelle e gambe non depilate, e nemmeno deodorate. C’è il solito gruppo denutrito di hipster: skinny yeans, camice a mezze maniche a quadrettini oppure magliette con design uber cool, giacchine sfiancate (per lui e per lei). Le ragazze hanno questi prendisole in poliestere della nonna…ma le nonne non lasciano in erdita’ tailleur di Chanel? Apparentemente no.Ma che importa c’e’ l’open bar’...
“The Georgia O’Keefe Sensory Remix” at the Phillip Collection after 5 recita l’invito.
Il secondo museo d’arte contemporanea d’America ospita un party per festeggiare il successo della mostra e videoinstallazioni di artisti emergenti ispirate alla vita e alle opere dell’artista.
Chi interverra’?
gente vestita per farsi fotografare nella sezione Style del Washington Post;
artisti e derivati che si muovono con studiata indifferenza tra una sala e l’altra e dissertano sul significato di un estintore; vegliardi pieni di soldi e levrieri nelle loro case dai colonnati finto italiani. La risposta esatta e’: none of the above. Se sei abituata a leggere “Page Six” qui non troverai nulla di commestibile. Anche se ti sembra di conoscere piu’ Vronski di quello che sarebbe normalmente accettabile, si sa che la vita fuori dalla carta e’ spesso diversa.
Nella luce dorata del tramonto, tutto e’ piu’ bello, e allora perche’ vedo queste donne in Birkenstock, pantaloni di lino sformati e camicione da hippie? Forse e’ un omaggio alla O’Keefe che si aggirava per il New Messico in camicia da notte? Le superano in orrore quelli della tribu’ del cappello: baschi, cappellini da baseball, cuffie, visiere, cappelli da cerimonia (ma quale?) del diametro di una parabola abusiva, fiori e frutta e piume e...un cilindro. Credo che alcuni necessitino di porto d’armi.
La prima installazione e’ in un ex-stalla, insomma uno di questi ambienti cosi “in” right now. Dopo l’ex centrale idroelettrica della Tate Modern e’ tutto un pullulare di ex casali, ex conventi ed ex soffitte. La stanza e’ spoglia, se si escludono un paio di panche di legno e dei bruciatori d’incenso sparpagliati, ma niente tace: ululati di lupi, vento che soffia tra il fogliame, canti dei nativi d’America, la voce della defunta fuori campo che dice cose tipo “per sopravvivere alla calura era necessario stare sdraiati sotto la macchina nelle ore piu’ calde” e stare attenti ai serpenti aggiungerei.
L’artista e’ accanto alla panchina, forse parte dell’arredamento, con camicia di lino sotto giacca grigia cangiante, Borsalino di paglia (ma non siamo in un interno?) e ...una collana a due fili d’osso...forse rubata ai nativi.
Poi una citazione dal Flauto Magico: Papaghena compare, una visione di piume multicolori, o forse era un pappagallo antropomorfo che frulllava da un tavolo all’altro senza sosta. C’è anche un raduno di vetero femministe, lo urla la grande abbondanza di ascelle e gambe non depilate, e nemmeno deodorate. C’è il solito gruppo denutrito di hipster: skinny yeans, camice a mezze maniche a quadrettini oppure magliette con design uber cool, giacchine sfiancate (per lui e per lei). Le ragazze hanno questi prendisole in poliestere della nonna…ma le nonne non lasciano in erdita’ tailleur di Chanel? Apparentemente no.Ma che importa c’e’ l’open bar’...
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