lunedì 24 maggio 2010

Briciole d'estetica

di Vladimiro Zocca

UNA STRADA VERSO LA CREATIVITA’

La parola “contaminazione” mi offre l’opportunità per alcune considerazioni. Intanto, nel campo dell’arte e della letteratura, “contaminazione” è diventata simbolo di creatività, soprattutto dopo l’azione rivoluzionaria delle Avanguardie del ‘900 che hanno saputo rompere schemi concettuali e materiali precostituiti con i frammenti dei quali creare nuove realtà artistiche. In questa prospettiva, l’operazione del contaminare ha perso la sua originaria accezione negativa di rendere impuro, di insozzare, aprendo gli orizzonti a nuovi modi di produrre da parte dell’esperienza umana. D’altra parte, anche se per i copisti medioevali contaminare i generi significava compromettere l’autenticità di un’opera letteraria della quale non si possedeva il testo autografo, tuttavia la ricerca della verità filologica non ha, fortunatamente, impedito la nascita di opere originali come il ciclo dei romanzi cavallereschi. Già in epoca romana Plauto e Terenzio avevano creato la commedia latina, fondando spunti locali di vita vissuta con elementi letterari della scrittura greca. Per cui, fondere elementi provenienti da fonti diverse, nella composizione di un’opera letteraria, ha permesso di superare, specialmente nella narrativa contemporanea, una troppo rigida distinzione dei generi del raccontare, con grande vantaggio per la libertà creativa dei singoli scrittori. Allo stato attuale, non ha più senso la classificazione in letteratura alta e bassa come ci mostra il grande sviluppo del romanzo poliziesco che ha prodotto opere di alto livello artistico. E’ la forza condizionante del secondo principio della termodinamica, secondo il quale non si crea dal nulla: tutto sta nel volere e nel sapere manipolare, contaminare, appunto, con il proprio stile personale – che vuol dire creare - il materiale più o meno culturale offertoci dalle stagioni del tempo. E’ significativo che il termine “contaminazione” abbia trasferito l’iniziale senso di negatività in sostanze fisiche della natura che con le loro radiazioni possono costituire un pericolo per l’esistenza dei corpi viventi sulla Terra. Questo è l’utile eredità che ci ha lasciato la contraddizione creativa degli antichi alchimisti: raggiungere la purezza finale della pietra filosofale, connessa al desiderio di eternità del proprio corpo vivente, dopo aver attraversato l’oscurità di pericolose contaminazioni infinite. Ancora una volta è il mito greco a darci la chiave di comprensione di una funzione fondamentale della natura tramite le progressive identificazioni del corpo vivo situato nel succedersi dei tempi e nel mutarsi degli spazi. Le due accezioni positiva e negativa del contaminare ci sono offerte dalle Sirene, questi esseri in sé doppi e ibridi, “capaci – come ci informa lo studioso di filologia classica Luigi Spina – di far convivere nella propria identità somatica sembianze umane e sembianze animali”. Le Sirene hanno, infatti, nella narrazione del mito, una duplice iconografia: esseri alati con volto umano e corpo di uccello, donne formose con code squamose di pesci. Sono il frutto di una contaminazione massima, la madre, Melpomene, dea del canto, e del fiume Acheloo; figlie, dunque di un elemento immateriale, la musica, e di un elemento fluidamente materico, l’acqua; ma ambedue, nella loro specificità, generatori di vitalità. Le Sirene tengono fusi nel loro essere i principi della creatività e della distruzione: chi le incontra viene affascinato dal loro canto irresistibile, ma per essere, poi, fatto naufragare nell’infinito primordiale del mare. Allora, la parola “contaminazione” diviene sinonimo di metafora: andare fuori strada, deragliare, per prendere una strada nuova, anche se ignota e gravida di pericoli.

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