mercoledì 28 aprile 2010

Domino caffé



di Virginia Parisi e Monica Lombardi


Rinascita e romanzi? Vampiri!
Riflettendo insieme sul primo tema scelto dalla nostra ospite, Patrizia Finucci Gallo, dopo il restyling del blog Rosa Stanton, e pensando all’argomento della piccola rubrica Domino Caffè, i vampiri ci sono venuti in mente sia perché, in effetti, nella tradizione letteraria un essere umano muore e “rinasce” vampiro, sia perché i libri sui vampiri sono, di nuovo, tremendamente “trendy” – possiamo usare quest’espressione così modaiola, e giocare con l’allitterazione? E l’iniziatrice, il motore di questo trend, lo sappiamo tutti, si chiama Stephenie Meyer.
Per carità, i vampiri non sono mai scomparsi dagli scaffali, né dal grande o piccolo schermo, ma la Meyer ha raggiunto un numero di lettori incredibile, è approdata al cinema, ai suoi personaggi sono stati dedicati siti e blog e hanno lasciato dietro di sé una crisi di astinenza che ha, anche questo è innegabile, finito con il trainare altre autrici, altre saghe che hanno sempre venduto, ma che adesso sono davvero in auge. Insomma, un vero e proprio fenomeno. Molti parlano di ‘marketing’, ma ci sembra semplicistico liquidare così quanto è accaduto nell’ultimo anno e mezzo - il marketing spinge molti titoli, molti autori, la Meyer è piuttosto decollata con il passaparola. Così come appare semplicistico definirlo un fenomeno da “teenager” - noi che i suoi quattro romanzi di vampiriana ispirazione abbiamo letto, adolescenti non siamo più da… qualche anno.
Questo fenomeno ci ha incuriosito – motivo per cui abbiamo cominciato a leggere. E ci ha spinto a farci domande – e queste riflessioni rappresentano un tentativo di rispondervi, anche se più che di “risposta” sarebbe meglio parlare di una serie di considerazioni.
Chiunque abbia letto la Meyer sa bene che i suoi romanzi, soprattutto i primi due della saga, non sono privi di difetti. E che lei non è scrittrice migliore di molti altri – tutt’altro. Molti dialoghi sono deboli e ripetitivi, diversi colpi di scena, diversi “plot twist” son buttati lì quasi distrattamente, quando avrebbero potuto bucare la pagina. E non esiste azione, o quanto meno l’exploit finale, la guerra, lo scontro, la lotta tra le parti non arriva mai agli occhi del lettore, ma rimane una sorta di punto fermo, statico e appena accennato come se in fondo l’autrice non fosse riuscita a parlarne, illudendo tutti quanti. E che dire delle immagini? La “voragine” nel petto di Bella Swan in New Moon viene ripresentata talmente tante volte da diventare un odioso cliché. Meglio, davvero, gli ultimi due capitoli della saga, in cui gli elementi si intrecciano, arricchendosi reciprocamente, molte cose si spiegano, e tutto, e tutti, trovano il proprio “posto” in quest’universo paranormale, e la propria ragion d’essere. Che atto di fiducia, da parte dell’autrice, credere che il lettore arrivasse fino in fondo, superando gli scogli iniziali, per avere queste piacevoli sorprese.
Stephenie Meyer non ha inventato nulla di nuovo, questo, a parte la qualità non eccelsa dei suoi scritti, è la cosa più eclatante. La ragazza innamorata del vampiro che va contro la propria natura rifiutandosi di bere sangue umano, l'inimicizia endemica, qui quasi genetica, tra vampiri e licantropi, la famiglia allargata di "diversi" che spaventano ma non sono pericolosi – sono tutti ingredienti che abbiamo già visto, e letto. Ma nessuno dei suoi precursori ha attirato le folle come è riuscita a fare lei. Nessuno prima di lei è riuscito, ci sembra, a dare al racconto un ritmo così intenso, quasi ipnotico.
Solo caso, o fortuna?
Quello che vediamo noi, dietro a questo fenomeno, è che in una società molto pratica, quasi cinica, in cui gran parte del mercato librario è occupato da storie realistiche su sofferenze e disagi, c’è ancora una gran voglia di “storie”. Storie che non spiegano nulla, che non insegnano nulla, narrate per il solo piacere di raccontare. Qualcuno più ferrato in sociologia di noi potrà vederci i segni della crisi, del voler dimenticare la crisi. Ma non trascuriamo il fatto che la Meyer, i suoi romanzi e i romanzi che l’hanno seguita a ruota hanno spopolato anche tra gli adolescenti – una fascia di età meno colpita di altre dalla crisi. Noi che ciniche non siamo, che ci rifiutiamo di esserlo, preferiamo puntare i riflettori sul fatto che raccontare storie, e ascoltarle, ci appartiene da millenni. Che fa ancora parte della nostra vita, nutre ancora la nostra anima, la nostra fantasia, i nostri sogni. Che non ha perso dignità nonostante appaia meno “di valore”, meno “letterario” dell’occuparsi di sofferenze e disagi. Che può essere solo un modo diverso di parlare dell’essere umano, delle sue sofferenze e dei suoi disagi, ma anche delle sue speranze e dei suoi sogni.
Che narrare storie, e ascoltarle, continuerà ad appartenerci, per altri millenni.

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