domenica 18 ottobre 2009

Di mamma (non) ce n'è una sola


PER TUTTI I GUSTI
A cura di Anna Grazia Giannuzzi

Venerdì sono uscita di sera. WOW.
Avevo una riunione dell’associazione dei genitori adottivi. AH. Sono venute le piccole con mio marito, e si sono molto divertite perché c’erano anche altri bambini. MHMMM. La grande non è venuta: aveva freddo e sonno. OH! Io sono uscita con il muso perché ha fatto intercedere il padre per lei e quando sono uscita, tra una cosa e l’altra nemmeno l’ho salutata.EHHHH!
E vabbèh! L’idillio è finito per sempre. Addio mia piccola bambina dolce che hai lasciato il posto a questa qui che si chiama come te e pure un poco ti somiglia, ma chi è?

Il bello è che anche se te lo chiedo tu non me lo dici. Vieni da me per farti abbracciare quando sei triste, recuperi poi mi liquidi che ti abbraccio troppo stretta.A pranzo e a cena arrivi quando arrivi e a volte vai via di corsa, ma poggi il tuo piatto sul lavandino. Ci sono ma non do fastidio. Sarà questo quello che pensi? Non sarò già diventata come mia madre che recrimina per ogni cosa? Sto recriminando? Hai tredici anni: puoi ancora uscire con mamma e papà qualche volta, o no? Alla riunione poi mi sono quasi dimenticata di te. Ti immaginavo addormentata davanti alla tele, con la vestaglia che prima era mia e adesso è tua, una felpona rosa con tanti cuoricini. E chissà se mi hai pensato almeno un poco prima di dormire.

La serata è culminata, come spesso accade, con me che racconto cose allucinanti degli insegnanti (alcuni, molti, troppi). Che devo fare se li incontro tutti io? Mi sono convinta che certe cose mi capitano perché io dopo riesco a raccontarle. Così sopporto meglio.
Ho fatto una lista mentale degli iscritti all'associazione che stanno inserendo i propri figli alle scuole elementari. Mano a mano aggiungo mentalmente una crocetta: a tutti, ma proprio a tutti è capitato che le maestre chiedessero ai bambini di portare le foto di quando erano piccolissimi, o l’ecografia di quando erano nella pancia della mamma o la prima scarpina, e via dicendo. Questi insegnanti sanno che i bambini sono stati adottati, sanno che sono nati dalla pancia di una donna che non è quella che li cresce, sanno che il semino e l’ovetto non gli appartengono. Ma se lo dimenticano.
Ma le mie domande vanno oltre: perché andare a cercare le somiglianze, con il nonno o la zia, o andare a chiedersi perché i bambini portano quel nome e non un altro? Io porto un nome frutto di un braccio di ferro tra persone che non ricordo e di cui sinceramente non mi importa un fico secco. Mia sorella ha scoperto,ad un certo punto della sua vita, che i suoceri le tenevano il muso perché ha scelto da sola il nome del figlio, invece di dargli quello del nonno paterno.

Molti mi dicono di stare calma e riflettere che può essere difficile parlare di adozione ai bambini piccoli. Ma quando mai? Ad essere sincera, man mano che passano gli anni ci credo sempre di meno: voglio dire che non è così per tutti e la verità è forse che siamo abituati a pensare che sia un nostro diritto quello di parlare senza riflettere. E poi è una questione di numeri, i diversi sono o vengono considerati sempre meno numerosi dei normali, e sorprende sempre la convinzione e la forza con osano chiedere rispetto ed il riconoscimento del proprio diritto ad essere semplicemente quello che si è. Considerate che quando si parla di decisioni prese maggioranza c’è qualcuno per cui qualcun altro decide che non esiste, e si arrangi se ha problemi. Non mi è stato ancora riferito direttamente, ma ho letto di esperienze di mamme e di figli che sono stati intenzionalmente criticati davanti all’intera classe perché non avevano portato il materiale richiesto. Con frasi tipo” c’è sempre qualcuno che vuole differenziarsi dagli altri”. All’ultima dolcissima e paziente mamma di una bimba nepalese, la maestra – scrupolosamente informata dai genitori all’inizio dell’anno sulla storia di vita della bambina - ha suggerito che poteva disegnare le immagini che non aveva. Lei ha replicato che non era il caso di far disegnare solo la figlia, perché questo avrebbe sottolineato la differenza: tutti hanno le foto, lei no, allora disegna (è un ripiego). Che disegnino tutti allora!Si è concluso che a scuola si portano le foto che si vuole o al massimo i ricordi dell’asilo, che tutti hanno frequentato in Italia. MAH!

Dove sta il senso in tutto questo? Forse non era assolutamente necessario portare quel tipo di foto, ma allora qual era lo scopo della richiesta?
A che serve raccontare la storia di una persona dal momento della sua riproduzione? Cioè, a chi serve? Davvero non è meglio partire dal momento in cui il bambino ha un ricordo suo personale (si spera bello) e non indotto dall’esterno (di quella pagliacciata di mondo in cui è capitato)?
Insomma, perché tutto questo? E se mi rispondete sì perché sì, allora io vi dico che bisogna assolutamente trovare il coraggio di dire apertamente che riproduzione e genitorialità non sempre coincidono, anzi coincidono sempre di meno da quando le donne hanno cominciato a fare qualche altra cosa durante gli anni della loro vita feconda, perché ci si ammala; perché si ama una persona del proprio sesso o perché non si è riusciti a trovare un adulto con cui dividere la propria vita ed un bambino sarebbe un perfetto compagno di vita e di avventura e tanto amore non andrebbe sprecato. Perché c’è qualcuno che sembra ancora non sapere che divertimento e concepimento si possono separare. Magari in questo modo davvero proteggiamo delle vite.
Basta con le api e i fiori, parliamo di corpi, di provette, di amore/non amore tra le persone. Diciamo la verità. Se si vuole preservare la presunta innocenza di qualche bambino, si condannano altri all'idea che abbiano la colpa della rapida ed ingiusta perdita della propria innocenza. E della fiducia negli adulti.
L'ignoranza non è innocenza. E' pregiudizio.
Vogliamo dare ai bambini il senso della storia? Basta dirgli che abbiamo un inizio ed una fine. E proprio perché abbiamo una data di scadenza forse sarebbe meglio smetterla una volta per tutte di fingere di non essere responsabili di quello che facciamo: tra l’inizio e la fine ci siamo noi.

2 commenti:

Maddalena ha detto...

AnnaGrazia, complimenti, che piglio, che grinta, che forza che hai dentro di te!!!!

Scarlett ha detto...

Ci vorrebero più madri come te. La maggior parte delle donne che conosco e che ti assomigliano non sono madri, proprio perchè sono coscenti di questa situazione.
Temo il giorno in cui mio nipote andrà a scuola e arriverà a casa tirando fuori queste storie.
Sento già che il ruolo di zia e madrina sarà piuttosto impegnativo.
Ma tu non mollare, non sei sola.

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