venerdì 9 ottobre 2009

BRICIOLE D'ESTETICA


Paura dello spazio
A cura di Vladimiro Zocca

Ho sempre nutrito il sospetto che gran parte degli scrittori d’oggi, a partire dalla fine del ‘900, siano affetti da una certa paura e da un particolare non curanza nei confronti dello spazio, come se, al momento di tradurre in fatti letterari gli eventi della loro esistenza individuale e intersoggettiva, rimanessero irrimediabilmente invischiati nelle forme dell’intuizione temporale.
Condizione anomala che sembra condivisa ampiamente con molti storici contemporanei.
Il dubbio mi viene confermato dalla lettura di un corposo pamphlet, uscito in questi giorni presso l’editore Bruno Mondadori, dello storico tedesco Karl Schlogel, Leggere il tempo nello spazio, dove polemicamente si sostiene che gli studiosi di storia hanno perso di vista il teatro degli eventi, la loro rappresentazione spaziale, il senso geopolitico del loro succedersi.
Già qualche anno fa ho sperimentato questa carenza nel metodo di insegnamento della geografia da parte del professore di lettere di mia figlia al ginnasio, quando le impedì di esporre la realtà geografica degli Stati Uniti sulla corrispondente tavola fisica di un atlante, dicendo che così era troppo comodo.
Seguendo mia figlia negli anni, ho potuto constatare che quasi tutti gli allievi di quel corso si sono portati dietro quella sorta di cecità spaziale, anche in occasione dei loro primi viaggi all’estero, fin nell’età adulta.
D’altra parte, io stesso, come affetto da una sorta di vizio del tempo, quando scatto fotografie non in automatico, preferisco la priorità dei tempi a quella dei diaframmi, valuto, cioè, l’intensità della luce nella sua successione temporale piuttosto che nella sua estensione spaziale.
Tuttavia voglio soffermarmi nel campo della produzione letteraria e, allora, noto che Marcel Proust, pur facendo del tempo condensato nella memoria creativa, la sua principale funzione ispiratrice, ha saputo integrarlo in una lirica sensibilità per le realtà spaziali del suo narrare, pur nella precisione dei loro confini.
Lo scrittore francese sapeva delineare paesaggi della memoria, trasformando e contaminando i luoghi reali della sua infanzia con una personalissima geografia dell’anima, ma con riferimenti topograficamente precisi alla realtà dei luoghi vissuti.
Quasi contemporaneamente Tolkien ricreava il teatro della sua saga degli Hobbit, immergendo i concreti paesaggi delle antiche leggende celtiche del Nord-Europa in una magica mitologia personale inventata dalla sua fantasia.
Probabilmente, l’affermarsi del flusso di coscienza nella letteratura di inizio Novecento ha spinto la scrittura di narrazione ad esprimere, forse in modo troppo esclusivo, moti dell’interiorità che tendevano a smaterializzare i limiti del proprio corpo nell’indefinito dell’inconscio.
Questo ha provocato la riduzione degli spazi nei quali si svolgevano gli eventi narrati, restringendoli, dapprima, alla vita entro le mura di una realtà urbana priva di fisionomia, mentre la natura della campagna veniva abbandonata alle composizioni liriche dei poeti con i loro correlati oggettivi.
La città stessa diventa un “non luogo”, la cui spazialità svanisce in un’esistenziale perdita di identità; proprio in questo contesto, Baudelaire è il flaneur che vaga per la città senza mete prefissate, alla ricerca di nuovi punti di riferimento capaci di costituire un ancoraggio di un realtà altra, ancora sconosciuta.
Questa curiosità per una nuova toponomastica dell’anima, in grado di ritrovare l’orientamento in nuovi punti di riferimento dello spazio metropolitano, sarà, poi, acutamente esercitata da Walter Benjamin nei suoi Passagen.
D’altra parte, Joyce, pur lasciandosi trascinare dalla corrente temporale della sua coscienza vissuta, reagisce all’annullamento dello spazio nella fluidità dell’inconscio; l’attraversamento di Dublino da parte suo alter ego nell’Ulisse, è costellato dalla plastica insorgenza vitale di precisi segni urbani che offrono alla sua identità un riparo dall’assalto del tempo.
Negli ultimi anni di insegnamento di scrittura creativa, tuttavia, mi ha colpito una caratteristica prevalente nei giovani scrittori, quella di definire le cose che circondano la loro esperienza di vita quali oggetti senza spazialità, come fossero permanenze dello sguardo, a loro volta poco intaccate dall’azione del tempo, del tempo urbano, spesso immobilizzate negli spazi anonimi del privato.
Certo, è riconoscibile un’utilità materiale del vedere preciso, quasi scientifico, figlia inconscia dell’école du regard dei Robbe-Grillet, dei Butor, delle Sarraut che negli anni Sessanta avevano conferito alla scrittura uno spessore descrittivo di notevole concretezza.
Ma, a questo punto, è giunto, forse, il momento di riscoprire il piacere dei “passaggi”, dove le cose, divenute oggetti, vengano ricollocate nel loro spazio originario di relazione con le persone che le riconoscono e le fanno parlare, liberando il rapporto spazio-tempo racchiuse in loro.
“Passaggio”, infatti, lo sento come un qualcosa di più del camminare per una strada di città; dice un attraversamento della città invisibile, di calviniana memoria, che si cela sotto la superficie metropolitana, riaprendo l’accesso al senso della dimora dell’essere, al gusto dell’abitare assieme agli altri esseri-cittadini.
Una sensazione che mi riporta al tempo della mia giovinezza, quando con gli amici di studio e di divertimento, “passeggiavo” fino all’alba nel ventre di Bologna, sempre accompagnato dalla gradevole presenza della curiosità.
Appartenevamo alla qualificata compagnia dei biasa not, i flaneurs, ormai pressoché scomparsi, della bolognesità, quelli che biascicavano, masticavano lentamente, assaporandoli con intensità, segni, figure e immagini della città, rischiarati dalla luce della notte.
Passaggi e passeggiate sono fatti, appunto, di passi che portano il carico di un corpo vivo e lo invitano a dare uno spessore di visibilità maggiore all’azione del tempo liberato dalla memoria che crea, attraverso la rinnovata ricerca dello spazio perduto.

2 commenti:

Anna Grazia Giannuzzi ha detto...

"WOW" (citazione da B.Obama)

Anonimo ha detto...

Ciao Anna Grazia, rispondo "wow"al tuo "Wow". Da Vladimiro

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...