giovedì 23 aprile 2009

La Dolce Vita di Ludovica


Versace: La storia di un mito
A cura di Ludovica Falconi

Moda come forma d’arte, mai come nel caso di Versace possiamo parlare di creazione come materia che nasce dalle mani dell’ artista, che prende forma da gesti guidati dall’ intelletto. Nel ’74 era considerato uno dei più promettenti stilisti emergenti, erano i tempi di “Complici” e di “Callaghan”, dove metteva in pratica quello che aveva appreso da ragazzo nell’ atelier di sua madre.
Sarà la passionalità calabrese delle sue origini a guidarlo lungo tutto il suo percorso.
La materia di Versace era il tessuto con il quale modellava l’ abito senza ricorrere al figurino ma alla sua abilità nel conoscere i segreti che si nascondono nelle pieghe di un tessuto.
La sua era un’ irrefrenabile ricerca che riscopriva il classico, da lui molto amato, reinventandolo, dandogli nuova vita, cercandovi uno stimolo per guardare al futuro.
Una sperimentazione che traeva origine dalla ricerca di colori elettrici, vibranti, paragonabile per l’ audacia degli accostamenti a quella di Sonia Delaunay. Colori che sembrano rubati a passionali tele espressioniste o alle irriverenti opere pop art. Anche il nero, sino a quel momento simbolo di discreta eleganza, nelle sue mani si illumina di intarsi e di ricami: sbalordisce.
Dal ‘ 78, data della sua prima sfilata, le passerelle sulle quali sfila sono testimoni dei più audaci accostamenti: pizzi e pelle, tessuti tecnici e jeans, plastica e strass, pellicce e vinile, sete dalle stampe rinascimentali e pvc.. L’ 82 ha visto per la prima volta sfilare dei capi drappeggiati in maglia metallica che procedevano ondeggiando delicatamente sui corpi delle modelle: Versace amava le donne al punto da volerle trasformare in dee.
La forza di Versace sta nel privare il materiale del suo contesto originario renderlo metafisico come una creazione della Schiapparelli essendo, però, allo stesso tempo indossabile, la sua creatività non era fine a se stessa ma ogni volta innovativa e costruttiva. La materia prende vita con dei tagli inconfondibili. Veder sfilare un suo abito, guardandolo avanzare, permette di intuirne la maestria, l’ originalità, l’ estro: ma è alla fine della passerella, quando sono le spalle a diventare protagoniste della scena, il momento in cui si capisce che quello che abbiamo visto era solo il preludio: le asimmetrie scoprono strategicamente il corpo, i plissè rendono fluido e accattivante il passo. Nel ’91 gli abiti sono segnati da tagli, come tele di Fontana, lasciando intravedere la pelle e creando un effetto irresistibilmente sexy.
Ogni sua sfilata era un happening dove la colonna sonora era spesso scelta tra i successi delle sue tante amiche rock star tra cui Madonna, George Michael e Elton John: era il suo modo irriverente e spregiudicato di celebrare la vita.
Nel ’93 Versace fu nominato miglior stilista del mondo, era amatissimo dalla stampa, dal pubblico e dalle donne, al contrario dei suoi vestiti la sua è una personalità discreta che gli permette di conquistare, non solo con le sue scelte stilistiche, ma anche con la sua umiltà.
Umile anche se tra le sue collaborazioni poteva vantare fotografi come Avedon, Netwon, Weber e che ha avuto il privilegio di disegnare i costumi per la scala di Bejart.
Instancabile lavoratore che oltre ad ampliare le sue linee principali di abbigliamento con Istante, Atelier, e Versus sente l’ esigenza di creare la linea di tessuti d’arredamento Signature e una di ceramiche di cui è collezionista. Era il più amato dalle modelle internazionali, indimenticabili le lacrime di Naomi Campbell quando nel ’97 scomparve, mentre lei perdeva un amico l’ Italia perdeva uno dei più grandi creatori di moda che aveva mai avuto, motivo di vanto in tutto il mondo.
Sarebbe bello immaginarlo seduto alla scrivania nel suo palazzetto in via del Gesù mentre escogita l’ ultima follia da proporre per rivitalizzare il panorama della moda italiana.

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