venerdì 10 aprile 2009

BRICIOLE D'ESTETICA


Sognare antiche rovine
A cura di Vladimiro Zocca

La recente pubblicazione presso le Edizioni dell’Orso del Diario in Portogallo e Spagna, 1787-1788 di William Beckford mi permette di operare un’altra incursione tra quegli artisti del ‘700 che non hanno accettato di limitare la loro azione creativa entro i soli confini luminosi della ragione, ma hanno scelto, contro le convenzioni del secolo, di immergersi nelle ombre profonde dell’inconscio individuale e collettivo del loro tempo.
La trasgressiva vita estetica di questo eccentrico e singolare personaggio, scrittore, musicista e collezionista; l’uomo, allora, più ricco d’Inghilterra – era possessore di quasi tutte le piantagioni di canna da zucchero della Giamaica - mi ha aperto ad affascinanti connessioni, nell’aria dei tempi che preludono all’esplosione del successivo Romanticismo.
Soprattutto di quel Romanticismo “nero”, fatto di inquietudini dell’essere e di orrori dell’anima che alligna nell’addensarsi spregiudicato dei sensi del corpo caratteristi dell’Inghilterra dell’epoca.
Infatti, il suo libero sensismo trasgressivo lo costrinse ad una fuga-grand tour per l’Europa, perché accusato di sodomia e di stregoneria, evitando il destino che segnerà la vita di Oscar Wilde.
Ricordo il romanzo che lo ha reso celebre, da me divorato da ragazzo, Vathek, la suggestiva storia di un califfo che intrapprende, come una perversa iniziazione, il suo viaggio verso l’Inferno.
Un romanzo scritto in anticipo rispetto ai tempi del Romanticismo – fu pubblicato a Londra nel 1786 – allegoria satanica di una vita maledetta; molto amato da Borges che lo definisce “Il primo inferno realmente atroce della letteratura”; lo stesso Byron lo vorrà accanto a sé sul letto di morte.
Ma quello che più mi ha colpito di Beckford sono le analogie che lo collegano al modo di vedere l’architettura del suo contemporaneo Gianbattista Piranesi.
Ambedue sono architetti teorici, alla ricerca delle strutture di un ordine architettonico sepolto nel mistero di un perduto tempo antico, da ricostruire attraverso il recupero creativo delle sue frammentate rovine.
Probabilmente i due si conoscevano di fama e per interposta persona, tramite la comune amicizia con lord e ledy Hamilton e con l’ammiraglio Nelson.
Per di più Beckford, da raffinato viaggiatore qual’era, aveva visitato Venezia, la città nativa di Piranesi, Roma dove l’artista veneziano viveva e Napoli presso la quale questo ultimo aveva fatto scavi archeologici tra le rovine greche di Paestum.
Ebbene, attraverso le insolite e originali dimore che si fa costruire, realizza la sua propensione al fantastico oscuro stabilendone lo sfondo indispensabile.
Allievo del disegnatore e acquerellista Alexander Cozens, presunto figlio naturale dello zar Pietro il Grande, reagisce, come del resto farà Piranesi, all’imperante neoclassicismo dell’epoca con una fastosa contaminazione tra Neogotico ed arte orientale.
A questo proposito, si servirà di un architetto singolare, James Wyatt, presidente dell’Accademia Reale d’Inghilterra, famoso restauratore di cattedrali gotiche, autore della torre di Salisbury e impegnato, in quel periodo, nella costruzione del castello reale di Windsor.
Wyatt, si differenziava da Piranesi, in quanto prediligeva il recupero formale del Medioevo nel fantastico spirituale di un Neogotico ricco di ambiguità stilistiche, mentre il veneziano, da parte sua, cercava il canone architettonico originario attraverso il Romanico.
Tuttavia, l’ inglese, sull’esempio di Piranesi, era diventato un fanatico della struttura concepita come rovina, quale involucro materiale di un’interiorità oscura che confina con il mistero e con gli inferni della ragione.
In questa prospettiva, Wyatt è molto vicino al Piranesi tenebroso e inquietante dei Carceri delle quali certamente conosceva le incisioni, molto apprezzate in Inghilterra.
Per questa via il Neogotico con i suoi labirintici locali e i suoi antri sotterranei, diventa la naturale ambientazione del romanzo anglosassone dell’orrore, dove lo spazio, occultato dal buio interno delle rovine, adombra un Universo sotterraneo da mettere in relazione con la scoperta di nuove capacità della mente racchiuse in un inconscio già condiviso, prima di Freud e di Jung.
In quel tempo Anton Mesmer, medico massone, intimo di Mozart e dell’avventuriero palermitano Giuseppe Balsamo detto Cagliostro, fondava a Vienna un sistema basato sul magnetismo animale, sollevando problemi della psiche inconscia che saranno affrontati solo nel XX secolo dalla psicologia del profondo.
Wyatt, finalmente completerà nella campagna del Wiltshire l’incredibile abbazia-abitazione di Fonthill, con le sue stanze che si succedono all’infinito e la sua torre a pianta ottogonale che doveva superare in altezza quella di Westminster.
Il progetto è tracciato personalmente da Beckford, sul quale interverrà con scelte personali l’architetto, ristrutturando in proiezione neogotica con sventramenti e modifiche radicali, su Splendens, la palladiana dimora del padre dello scrittore, già sindaco di Londra.
Allora, Fonthill-Abbey diventerà “il suo Santo Sepolcro” nel quale isolarsi, assimilabile anche a “un romanzo puro realizzato con tutti i suoi terrori e con tutte le sue stravaganze”.
Poiché le idee e i tempi dei due non sempre sono in sintonia, ne risulterà un’opera complessa dalla cifra stilistica stratificata, a causa delle numerose modifiche in corso d’opera.
Tuttavia, un elemento piranesiano è offerto dalla costruzione di “un interminabile scalone, che dall’alto pare il pozzo delle piramidi e dal basso si perde nella nebbia”.
La torre-pozzo rivela una chiara impostazione massonica, quella alchemica e rosacrociana delle origini della confraternita, che trova nella coincidentia oppositorum il trasgressivo ribaltamento delle gerarchie tradizionali, come recita il mitico testo degli alchimisti, laTabula Smaragdina: “Ciò che sta in alto sta in basso e ciò che sta in basso sta in alto”.
Cielo e terra si incontrano e si scambiano le parti, come fanno, appunto, la torre di Beckford e il carcere di Piranesi.
Se poi ci riferiamo alla situazione psicologica di Beckford, come dimostra Mozart, in Così fan tutte, la bisessualità non congiunge soltanto maschile e femminile, ma unisce anche vita e morte.
Comunque, sia Beckford che Piranesi erano ambedue massoni, affiliati alla più importante loggia d’Inghilterra.
Un altro punto di contatto significativo fra lo scrittore inglese e l’incisore veneziano è rappresentato dalla passione esotica, che diventerà moda nell’Ottocento, per l’antico Egitto: il salone principale di Fonthill-Abbey era stato strutturato nel tipico stile egiziano antico, come pure la costruzione dell’immenso ingresso scavato nella roccia.
Per ciò che riguarda l’egittomania di Piranesi, va ricordato che l’artista veneziano, oltre che essere collezionista di reperti di questa antica civiltà, disegnava su commissione, con grande successo, splendidi camini in stile egizio per le magioni di campagna di nobili inglesi.
D’altra parte l’arte egizia, alla base della tradizione ermetica del Rinascimento, e sarà vista dalla stessa Massoneria, attraverso i geroglifici, come un arcano cosmogonico; una “chiave dei sogni” la definisce Baltrusaitis nel suo saggio La ricerca di Iside.
Lo stile egizio costituisce lo scenario dominante della più grande opera lirica del contemporaneo Mozart, Il Flauto Magico, la più grande celebrazione musicale della Massoneria settecentesca; a questo proposito, forse, non è un caso che l’ingresso di Fonthill-Abbey fosse sorvegliato da una bianca statua gigantesca che ricordava quella del Convitato di pietra del Don Giovanni mozartiano.
Per dei massoni come Wyat e Piranesi la metafora muratoria della triangolazione costruzione-rovina-costruzione che permette, nello scavo e nella ricerca, il rinvenimento del canone architettonico “altro”, obliquo, quello che ha presieduto alla edificazione del Tempio di Salomone, la casa degli illuminati, era particolarmente cara.
La torre rovinerà per ben tre volte; solo quando Wyatt la ricostruirà per la seconda volta, necessariamente più bassa, lo scrittore inglese esclamerà: “Vedo spalancarsi davanti a me ed apparirmi come la sola praticabile, la grande strada che conduce a Lucifero”.
Il destino o l’ironia della sorte ha voluto che Fonthill-Abbey, come quasi tutti i lavori di Wyatt, andassero in rovina, a confermare il sogno rovinista, tipico di questi artisti che, in una vera e propria “estetica del rudere”, opereranno ai confini del tempo occulto e delle tenebre dell’essere.
A questo proposito, così dice di se stesso William Beckford: “C’è gente che beve per dimenticare. Anziché bere io costruisco, e costruire mi rovina”.
E’ quello che ho definito il chiasma massonico: costruire per rovinarsi, rovinarsi per costruire.
In fondo, le rovine che racchiudono l’ombra del tempo e dell’esistere non sono altro che la nigredo degli alchimisti, la putrefactio che prelude alla rinascita, dove luna e sole, buio e luce coincidono.

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