giovedì 22 gennaio 2009

Archi.D.Arte

Decostruire se stessi
a cura di Margherita Matera



Il Decostruttivismo. Movimento architettonico di respiro internazionale, interessante se si pensa di voler de-costruire ciò che è costruito. È per certi versi una forma di cubismo, secondo me, dove non si ha più a che fare con i piani euclidei, i rapporti di forma, la sezione aurea, ma si frantuma tutto e lo si “ricompone”. Così stamattina pensavo a Frank O. Gehry, uno degli esponenti del Decostruttivismo, nonostante egli stesso non si senta tale. Pensavo a cosa Gehry riuscirebbe a de-costuire di me stessa, dove mi metterebbe il cuore. E se userebbe la testa. In quale utopia mi decostruirebbe: in un bosco, in collina, davanti al mare. Quali colori, smalti, vernici, sceglierebbe.



Se fossi io a giocare all’architetto di me stessa, invece, penso mi decostruirei di carta, di scarabocchi alla rinfusa, di parti di libri, di letture, di fogli accartocciati e poi ristesi. Senza usare colle o viti, permetterei ad una bolla d’aria di portarmi via la pelle di carta per de-decostruirmi altrove. Lasciando che l’anima continui a scriversi addosso. Per inventare nuove storie, per dar senso a quest'involucro.

4 commenti:

Maddalena ha detto...

Direi che il tuo post sia una bella metafora della vita: siamo tutti tesi a costruirci e anche ricostruirci soprattutto esteriormente, anzi esclusivamente. Invece saremmo molto più interessanti decostruiti, fatti solo di quella che è la nostra essnza. Questo periodo da crisi americana del '29 potrebbe essere l'occasione giusta per andare alla sostanza di noi, degli altri e delle cose. Ce la possiamo fare.

maggie ha detto...

si Maddalena, in effetti potrebbe essere una chiave di lettura...d'altra parte l'energia si trasforma continuamente sotto infinite forme...bisogna solo darle tempo. :-)

Anonimo ha detto...

Cara Maggie, trovo particolarmente centrata la tua interpretazione del Decostruzionismo come una forma di cubismo, in quanto, da molteplici punti di vista, squaderna forme e volumi alla ricerca della vera abitazione dell'essere. Del resto, quasi dieci anni dopo Picasso, Heidegger, in "Essere e tempo", auspica una "distruzione" critica dei concetti dell'ontologia tradizionale per far emergere nella coscienza tracce dell'essere, per coinvolgerle in una pratica di un costruire nuovo.
Da questo punto di vista mi affascinano le architetture di Daniel Libeskind che cerca l'impossibile formale in una vera e propria fenomenologia della decomposizione, i cui pezzi, come frammenti di ricordi banali di un paesaggio urbano periferico del degrado, lontanato nella memoria, memoria,tentano di ricomporsi in aperture di senso originarie.
Ciao, da Vladimiro

maggie ha detto...

Ciao Vladimiro,perdonami la tardiva risposta,ma e' un periodo affollato d'impegni.Comunque alla fine eccomi qui...per Libeskind...le sue architetture mi fanno sorridere, sicuramente hanno quella sorta di impossibilita' formale intrinseca,ma secondo me Lui non decompone,semmai assembla...unisce dei pezzi,sfaccettati.Come castelli di carte,con carte sagomate.A volte penso che i suoi progetti nascano dal disegno progressivo di linee orientate in modo diverso,quasi casuale.Come gli schizzi che si mettono su carta, in modo distratto...che pero'hanno un'unita'di fondo.Probabilmente il suo processo e'appunto il co-decostruire,se mi passi il termine!Per il maestro dell'esistenzialismo...li'non mi dilungo...sono solo un interrogato che cerca un ricercato...

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