sabato 29 novembre 2008

DI MAMMA NON CE N'E' UNA SOLA


Striscia la notizia
a cura di Anna Grazia Giannuzzi


Ogni genitore che si rispetti deve essere in grado di giocare con il senso di colpa. Fa parte del gioco di ruolo. I figli nascono già allenati o, comunque, riescono a farti sentire in colpa per un nonnulla. Tipo il fatto che vai a lavorare o insisti a ripetere che la minestra si trova nel piatto e non sulla tovaglia, ma se ti agiti un altro poco si troverà anche sulla tovaglia. Così avevi ragione tu. Ma quello di cui parlo oggi è un’altra cosa. All’inizio di novembre mi sono occupata di sport. Se devo essere sincera con il passare degli anni mi sono appassionata sempre di meno al calcio, parlo di quello passivo che si fa sul divano di casa la domenica pomeriggio, in cui mio marito ha cominciato ad eccellere. La mia attenzione è sta attratta dalle dichiarazioni di un giovane calciatore italiano e figlio adottivo. Cito le sue parole dal suo blog: “… vogliono far sapere a tutti che sono loro i "veri" genitori e che vogliono il mio affetto, come se fosse un loro diritto derivante dallo stesso sangue. Ma quale affetto? Ma quale legame di sangue? Non c'è proprio nessun legame, se non con le persone che mi hanno amato come un figlio. Gli altri, per me, sono degli estranei.”

Di cosa stiamo parlando? Di un bambino dato in affidamento a due anni dai propri genitori, era malato e aveva bisogno di cure. Non so se sia giusto saperne di più.
A quanto è dato di conoscere, di due anni in due anni, l’affidamento è stato confermato in Tribunale ed è divenuto poi adozione. I genitori biologici vivevano e vivono in Italia dove lavorano ed hanno cresciuto altri figli. Un giorno di ottobre è apparso sul Corriere delle Sera – Sport un articolo nel quale i toni da melodramma si confondevano ai fatti ed alle dichiarazioni dei protagonisti, tra i quali spiccava l’assenza di quello sulla cui pelle era stata costruita la notizia.

Oh figlio senza cuore, come hai potuto dimenticarti di chi ti ha generato ed ora che sei ricco e felice non vuoi nemmeno condividere con loro questo tuo momento fortunato? Dite all’allenatore che lo tratti come un figlio, perché ne ha bisogno.

Primo: qual è la notizia? Che il calciatore è stato adottato? Questo cambia qualcosa nel suo modo di giocare?
Secondo: chi c’era con lui quando era malato? Chi c’era con lui quando perdeva e non sapeva come affrontare la sconfitta? Chi c’era con lui quando non riusciva a centrare il water con il pisellino? E mi fermo qui perché avete capito.
Terzo: ancora con la storia dei genitori veri e di quelli falsi, dei cognomi veri e falsi? Che siamo spie?

Chi sceglie oppure è costretto dare il proprio figlio in adozione o affidamento vive senza alcun dubbio un profondo dolore interiore, del quale probabilmente nell’opinione comune, diciamo pure la verità, non si riesce ad avere sufficiente rispetto.

Mentre i genitori adottivi sono spesso visti e celebrati come dei santi, delle persone oltremodo buone e generose, vengono ipervalorizzati e perciò la loro immagine ne esce distorta, sicuramente non realistica.

Adottare è solo un modo per avere dei bambini, crescere dei figli, fare famiglia. Forse è troppo banale per essere semplicemente accettato così nel patrimonio di conoscenze comuni della nostra società.

Io penso che chi trova il coraggio di dare in adozione fa una scelta lucida, coraggiosa e rispettosa, tanto di se stesso, tanto del bambino a cui ha dato, spesso occasionalmente, la vita.

Ma deve sapere ed accettare il fatto che non si può tornare indietro: la scelta è irreversibile. Quindi, per favore, niente piagnucolii e cuori pieni di spine.

Così come irreversibile è quella di diventare genitori: non puoi più smettere di essere genitore una volta che ti sei assunto quella responsabilità.
Questo non significa che sia facile, tanto per gli uni, quanto per gli altri, ma nemmeno che non sia possibile.

È questo il senso dell’impegno preso con i figli. E che possano diventare migliori di noi.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Anche se sono un fortunato padre biologico di una figlia che fa il chirurgo pediatrico, tuttavia non ho mai creduto che una prole per essere vera e amorevole abbia bisogno di un legame di sangue, ma di emozioni e di passione.
Da Vladimiro

Maddalena ha detto...

Sono dello stesso identito parere di Vladimiro, l'ho detto e lo ripeto i genitori sono coloro che ti allevano e ti amano, punto e basta.

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