sabato 15 novembre 2008

DI MAMMA NON CE N'E' UNA SOLA



















Il piombo nell'ala

a cura di Anna Grazia Giannuzzi


Piombo 1.
La diffidenza della gente comune nei confronti dei nostri figli si concretizza talvolta in domande imbarazzanti che hanno la consistenza venefica dell’insinuazione.
L’altra sera, ad ora di cena, mi ha telefonato l’allenatore di pallavolo di mia figlia, iscritta e tesserata orami da un mese. Voleva sapere se mia figlia ha la cittadinanza italiana. Dopo un attimo di silenzio gli ho risposto secca: si ha la cittadinanza italiana.
- No, signora perché, altrimenti…
- Ha la cittadinanza italiana.
- Perché se sono stranieri…
- Mia figlia è stata adottata e con l’adozione si acquista anche la cittadinanza dei genitori.
- Ah, bene – sospiro di sollievo – non lo sapevo, sa perché i tesseramenti…
- Lo so. Se avessimo avuto qualcosa da dirvi lo avremmo fatto.
- …Mhmm…sì perché…
- Buonasera.
Non voglio tediarvi con i turbamenti del giovane allenatore, che magari si sarà trovato a leggere nel regolamento che il tesseramento dei giocatori stranieri è sottoposto a regole particolari, e doveva chiedermi la copia del permesso di soggiorno, il passaporto e farmi pagare una tassa di iscrizione maggiore, oltre ad avere, diciamo così, il permesso della Federazione.
Quello che mi sorprende è la stupidità, la grossolanità, la scelta di telefonare a casa invece di fermare me e il padre quando accompagniamo la ragazza a giocare. La stupidità perché nella squadra ci sono sia ragazze straniere, che altre ragazze adottate, l’abbiamo scelta anche per questo motivo.
L’ignoranza di non sapere che con l’adozione si diventa figli e basta, quindi tutto quello che sono o hanno i genitori passa automaticamente ai figli. Voglio dire quello di cittadinanza è un concetto tecnico se vogliamo, ma a nessuno viene in mente di chiedere ad un’amica che aspetta un figlio che cittadinanza intendono dargli quando nasce. Né ho mai pensato, anche prima di averne l’esperienza, che i figli adottivi mantenessero una cittadinanza distinta da quella dei genitori. Che sia giusto o sbagliato questo è quello che prevede la legge italiana.
Ma parliamoci chiaro, siamo sicuri che sia patrimonio comune la considerazione che i figli adottivi sono figli e basta?
Voglio sorvolare sul fatto che nel tono dell’allenatore si evidenziava chiaramente che non mi credeva, visto che la prima risposta gliel’ho praticamente sillabata. Ma già, io sono la madre, e si sa che le madri per proteggere i propri figli possono anche mentire, e poi una donna, e si sa, che cosa ne capisce una donna di tesseramento degli atleti stranieri?
Da dove bisogna partire per far circolare la cultura dell’adozione? Da dove bisogna partire per far circolare cultura?


Piombo 2.

I figli adottivi spesso sono malati. Non sono contagiosi, a volte un poco. Più che denutriti, anche se a volte è così, sono malnutriti. Contraggono quelle che noi definiamo malattie dei poveri, che a volte divengono croniche, perché dopo le cure i bambini sono nuovamente esposti al contagio. A volte provengono da zone di guerra dove l’agricoltura è impossibile. Arrivati in Italia si curano e guariscono, spesso con facilità, e tra le nostre braccia rifioriscono.

In Italia non esiste una legge chiara ed unica su tutto il territorio nazionale che stabilisca quali sono i controlli medici cui devono essere sottoposti i bambini al loro arrivo in Italia con i nuovi genitori.

Questo accade anche perché non esiste una vera diffusione della cultura dell’adozione e siamo legati ad un’idea di famiglia più che superata direi inutile, disfunzionale, non rispecchiante la realtà dei rapporti d’amore e di genitorialità che s’intrecciano. Alla faccia dei legislatori e dei predicatori si ama chi si ama e non chi si dovrebbe o sarebbe giusto amare.

D’altro canto i bambini non provengono tutti dalle stesse regioni del mondo e le analisi e la profilassi vanno calibrate a seconda dell’area geografica di provenienza.

Vi sono diversi ospedali in Italia che si sono organizzati, anche con fondi pubblici ed hanno stilato un protocollo medico, diciamo semplicisticamente, per chiarirsi le idee sul cosa fare, quando e perché.

Quello di cui sono venuta a conoscenza io si chiama “NUOVO PROTOCOLLO DIAGNOSTICO-ASSISTENZIALE DEL GLNBI PER IL BAMBINO ADOTTATO ALL’ESTERO” e viene applicato, per quello che mi risulta, negli ospedali di Ancona, Novara, Palermo, Negrar (Verona), Firenze e Roma

Il dottor Giorgio Zavarise ne ha parlato ad una riunione dell’Agap, l’associazione di cui faccio parte.
Per esemplificare vi rimando ad alcuni siti internet dove potrete trovare tutte le informazioni che possono interessarvi.

Per leggere l’edizione aggiornata 2007 del protocollo diagnostico andate qui.

Il sito corrispondente all’acronimo GLNBI - Gruppo Lavoro Nazionale per il Bambino Immigrato della Società Italiana di Pediatria è http://www.glnbi.org/html/adozioni_internazionali.html e sono disponibili ad ascoltare le famiglie bisognose di informazioni, per l’accoglienza ed il follow up dei bambini adottati provenienti dall’estero, a sostegno delle famiglie adottive.

Usate la testa. Se vi fa male è buon segno.

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