venerdì 1 febbraio 2008

OFF#LIMITS


IL FILO DI CLOE
a cura di Diomira Pizzamiglio

Care lettrici e cari lettori, oggi nel mio salotto ospito Nicoletta Bortolotti, classe 1966 di Caronno Pertusella, in provincia di Varese. Nicoletta lavora in una casa editrice e sul suo tavolo giungono tanti bei libri da sistemare e correggere: dai saggi ai libri di cucina, ai romanzi, quelli belli e famosi che anche noi abbiamo nella nostra personale libreria.
E Nicoletta mi ha portato il “suo” libro. Sì perché Nicoletta è riuscita a pubblicare, è un’autrice emergente!
Il libro è dedito da Sperling & Kupfer Editori e si intitola "Il filo di Cloe" e il 27 febbraio prossimo verrà presentato al Noir Cafè a Inzago (via Piola, 10 MI) http://www.noir-cafe.it/

Il filo di Cloe è proprio un bel romanzo, fresco e scorrevole che traccia le vicissitudini della famiglia Mulino nero che vive a Cesate in una villetta a schiera, con il portico e la facciata ricoperti di mattoncini color ruggine. Il papà, informatico, alle prese con la precarietà del lavoro e la mamma in perenne contratto a progetto. Una storia narrata senza parole dalla piccola Cloe di 11 mesi e rivista dai sui occhi innocenti, in cui i drammi familiari sfumano e si trasformano in giochi colorati, castelli e nuvole variopinte.
Dallo spaccato della realtà italiana all’umorismo dei piccoli protagonisti; G.D. un vecchio di 4 anni che non mangia i pesci con la testa che con la sua sorellina Cloe riescono a smorzare, con la loro innocenza, l’angoscia dei genitori di dover tirare a fine mese.
Lo stile è nuovo, leggero spontaneo e spiritoso.
La realtà si colora di fantasia infantile e il sorriso è sempre in agguato anche dietro al dramma della parola LICENZIATO.

“Essere. Licenziato. In. Tronco.” Non significa che vieni legato a un platano o a un castagno.

Sì perché dietro i numeri della realtà schietta e dura delle analisi Istat sull’occupazione, o sulle statistiche di quanto tempo resta a disposizione ad donna, madre e lavoratrice, ci sono gli occhi disincantai di G.D. e di Cloe che guardano il mondo e lo ridisegnano e con la loro innocenza riusciranno a salvare gli adulti.

Peccato non vuol dire che uno ha commesso un peccato mortale, come uccidere un genitore o schiacciare una formica che portava una briciola alle sue formichine. Ma significa che ancora. Hanno dato il lavoro ad un altro. Però prima che mio padre incominci il resoconto delle sue disgrazie in ogni minimo e raccapricciante particolare, la mamma si mette a urlare selvaggiamente: Nooooooo! La pipì sull’unica maglietta nera non rigurgitata che mi era rimasta!”
Stavolta l’ho combinata grossa. Anche perché ho fato pure la cacca.

Bhe un piccolo assaggio lo avete avuto, ora organizzatevi e raggiungeteci il 27 Febbraio al Noir Cafè, così potrete conoscere di persona Nicoletta, sentire qualche altro brano tratto dal suo libro e magari farle voi stessi qualche domanda.
Da buona curiosa quale sono, qualche domandina gliel’ho già fatta e … leggete!


Vorrei che raccontassi ai nostri lettori in cosa consiste il tuo lavoro, come sei arrivata a lavorare all’interno di una casa editrice.

In tanti, quando dico che lavoro in una casa editrice e, dunque, con il naso tuffato costantemente fra le pagine di qualche romanzo o saggio (si va da Danielle Steel, a Stephen King, da saggi di politica o economia a libri di cucina!) mi chiedono: ma, insomma, che cosa fai?
Ecco, cercherò di spiegarlo brevemente. Arriva in casa editrice il dattiloscritto del romanzo o del saggio in questione. Se è straniero (per lo più americano o inglese, ma anche francese o spagnolo) si è fortunati perché in realtà, sulla scrivania, giunge la traduzione. E poi… si fa di tutto e di più, sempre nel rispetto dell’autore e di ciò che vuole comunicare.
A volte bisogna addirittura “riscrivere” il testo per renderlo più accattivante, o semplicemente, più corretto e scorrevole in italiano; a volte si cambia l’incipit, che non acchiappa; a volte si tagliano intere descrizioni, troppo lunghe e noiose, o parti in cui l’autore si ripete; a volte si cambia la struttura dell’indice, spostando capitoli e paragrafi, o la si butta giù ex novo; infine si sciolgono in una forma più chiara frasi e concetti involuti. Questo è il lavoro più propriamente detto di editing e revisione.
Poi si procede alla cosiddetta pulizia del testo, o correzione di bozze: si tolgono le ripetizioni, i refusi e tutte le disuniformità (es. un nome scritto prima in un modo e poi in un altro, un personaggio che prima ha quarant’anni e poi ne ha cinquanta eccetera.)
Il libro passa in seguito all’ufficio grafico che ne imposta la copertina e lo impagina, prima di arrivare allo stampatore.
Tutto il lavoro di cui sopra, non è svolto da una sola persona, ma avviene all’interno del team della redazione, dove ognuno procede ai controlli che gli competono. E dunque la qualità è assicurata.
I redattori scrivono inoltre le “alette” cioè le quarte di copertina: in poche righe devono convincere il lettore distratto e frettoloso che passa in libreria a comprare proprio quel libro!
È un lavoro appassionante e non lo cambierei con nessun altro al mondo.

Quanto è importante saper scrivere per arrivare a pubblicare?

Dipende. Se sei un autore sconosciuto, e in particolare di narrativa, è indispensabile, una conditio sine qua non. Ma a volte, soprattutto nel caso delle opere di saggistica, molti autori sono professionisti nel loro settore (medici, economisti, giuristi eccetera) e hanno un’idea forte e originale da comunicare, o un nome che di per sé garantisce l’interesse del mercato e dei lettori. In questi casi, una prosa non proprio “manzoniana” viene limata e migliorata dal lavoro dei redattori.

Se tu non lavorassi per una casa editrice credi che saresti riuscita a pubblicare?

Sì. Infatti, quando ho pubblicato il mio primo libro Neomamme allo stato brado (Baldini e Castoldi Dalai) lavoravo nell’editoria scolastica e dunque non avevo contatti con la varia. Ho inviato il dattiloscritto a un sacco di case editrici ma le uniche risposte che ricevevo erano «il suo libro è interessante ma non rientra nei nostri piani editoriali» eccetera. Finché, per caso, l’ha letto un editor della Baldini e Castoldi, a cui è piaciuto, e qualche tempo dopo mi ha contattata. Mai disperare! Un consiglio per chi muove i primi passi: conviene mandare il proprio scritto all’attenzione di un editor di cui si sia ricercato prima il nome e il cognome. E ogni rifiuto è una sfida. Inoltre non bisogna prendersi troppo sul serio.

Cosa ti ha dato la spinta per scrivere il tuo primo libro?

Quando mio figlio Francesco era neonato, nei ritagli di tempo, magari mentre dormiva, aprivo il quaderno e annotavo gli episodi più salienti della giornata.
Penso che la maternità, il parto, con il suo sconvolgimento meraviglioso e terrificante, sblocchi grandi energie e regali fiducia e autostima. Quando ovviamente non s’instaurano depressioni o complicanze fisiche. L’autostima derivante dal fatto che quell’essere umano è veramente uscito da te, e tu ne stai custodendo la vita.
Maternità dunque non come annullamento di sé, fine dei propri spazi e dei propri progetti, ma occasione preziosa per fermarsi, ascoltarsi, e magari coltivare un piccolo giardino interiore per far crescere il germoglio della creatività, per mettere al vaglio le attività veramente corrispondenti alla propria natura e scartare le altre. Maternità come opportunità per riscoprire, attraverso la totale dedizione a un altro essere, un modo più gentile e sensibile di trattare noi stesse.

E adesso la domanda di rito: un consiglio per chi ha un libro nel cassetto:

Vistitate il mio sito www.ilfilodicloe.it e …, sono certa che insieme si potrà realizzare qualcosa di speciale.

La famiglia Mulinonero di che colore dipingerebbe i vagoni del treno del futuro? E G.D e Cloe cosa direbbero?

Cito un brano del libro. Il treno del futuro potrebbe avere vagoni «immensi come il verde quando è giallo. Oppure come il giallo quando è verde. Oppure come le bugie quando dicono la verità. E come il buio quando illumina la luce.»

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