giovedì 21 febbraio 2008

Di mamma (non) ce n'è una sola


A CINEMA, A CINEMA
A cura di Anna Grazia Giannuzzi


“Le Winx, sei fatine adolescenti allegre, romantiche, fragili ma anche molto determinate, sono dotate di straordinari poteri magici. Bloom e le sue amiche dovranno superare una serie di ostacoli alla ricerca di un antico mistero rimasto sepolto nel tempo e da cui dipende il destino dell'intera Dimensione Magica.”
Solitamente ho voglia di sputare sui principi che ti portano via dalle lande tristi e solitarie.Le principesse che vogliono sposarsi per vivere felici e contente le ho sempre spinte giù dalla bicicletta.
Sono convinta di poter fare io la mia felicità, che la felicità stessa possa essere un’abitudine intelligente, curata da persone che sanno prendersi le loro responsabilità e godersi le cose buone che ci sono nella loro vita.Così incautamente un giorno ho portato al cinema le mie figlie più piccole, di quasi cinque e quasi sei anni, basandomi sul trailer del film e quelle due righe di trama che ho messo in cima a questo articolo. Mi aspettavo dunque banalità maldestre, non di sentire due ore circa di frasi fatte sulla ricerca dei veri genitori, vedere genitori adottivi che vengono chiamati per nome e non mamma e papà, figlie ispirate che devono per forza partire a salvare quelli che io chiamo i generatori, che non hanno ovviamente fatto niente per tutto il film, ovvero la vita intera della piccola fata. Alla fine si scopre che sono un re ed una regina, mica due fiorai pieni di amore e di rispetto per quella figlia speciale. E siccome al buon gusto non c'è fine, questi invitano alla festa a Palazzo i genitori adottivi, due normalissimi essere umani che si tengono ben in disparte, consapevoli di non poter competere con un re ed una regina…ma insomma, io sarei un genitore finto ed il mio amore per le mie figlie patetico e destinato a non essere mai davvero ricambiato, fino a svanire di fronte al colpo di reni del re ed all’ovetto della regina?
Ebbene sì, ho avuto l’onore di poter vedere sul grande schermo IL problema dei genitori adottivi! Il problema delle origini. Ma diciamoci la verità: ha un senso che uno che non vede da 16 anni chi lo ha generato subito gli salta al collo con amore e dimentica completamente le persone con cui ha vissuto ed è cresciuto, condividendo momenti belli e affrontando quelli brutti? Nelle storie di orfanelli dell'800 gli autori avevano almeno il buon gusto di far morire i genitori adottivi prima che il rampollo si avventurasse nel mondo alla ricerca delle proprie origini. E spesso, visto come si trattavano i bambini, gli stessi orfanelli morivano ben prima di raggiungere la maggiore età. Una come me ci passa la vita a capire ed a far capire, che anche se degli altri genitori c'è memoria, talvolta terribile, talvolta bellissima, gli unici genitori siamo noi e non si torna indietro. Personalmente film come questo mi sembrano rivelare un orientamento profondamente fuorviante, che sopravvaluta i legami biologici, individuando in essi i mezzi privilegiati attraverso cui arrivare a definire la propria identità personale. Invece, secondo me il legame biologico non può che passare in secondo piano, lasciando il posto ad un rapporto educativo consapevole, guidato da due persone adulte e responsabili e finalizzato alla scoperta, alla maturazione e allo sviluppo di tutte le possibilità implicite di un bambino. Un rapporto che dovrebbe esistere sempre, di qualsiasi tipo di famiglia si parli, in cui ogni individuo (sia biologico che adottivo dunque) dovrebbe rinvenire le "radici" della propria identità, e cioè l'origine dei propri valori, della propria personalità. È la famiglia in cui cresci che ti dice chi sei, il resto è folclore.
Ci chiediamo e pensiamo sia un diritto sapere chi siamo: va bene, ma chiediamocelo seriamente: chi siamo? Siamo quello che siamo perchè siamo stati generati così, o siamo quello che siamo diventati crescendo, partendo sì da una base, ma spesso stravolgendola del tutto? E se uno scoprisse che sua madre faceva la prostituta e si drogava abitualmente? Sarebbe portato a pensare di essere simile a quella persona? Che suo padre era un assassino? Penserebbe, o si chiederebbe se non ha i "geni" dell'assassino? O che aveva una malattia grave ed incurabile e non poteva seguire i propri figli? Si farebbe subito un sacco di analisi pensando di potersi ammalare più facilmente degli altri? Che il suo destino sia scritto nel suo DNA? O se venisse a conoscenza che semplicemente suo padre si puzzava di fame, come dicono a Napoli, e proprio non ce la faceva a tirare avanti, e siccome non aveva la minima idea del controllo delle nascite faceva figli a ripetizione, tanto da non poterne più di avere bocche da sfamare? Certo il diritto di sapere chi sei! Gran diritto.
Noi siamo quello che vogliamo essere. Quello che decidiamo di essere.
E basta.

7 commenti:

IleniaF ha detto...

Cara Anna Grazia, molto bello il post, soprattutto per l'argomento.
A mio avviso è un diritto sacrosanto sapere la nostra storia, chi sono i nostri genitori, conoscere il nostro passato, nascondere la verità fa più male che conoscerla, bella o brutta che sia.
Sulla tua affermazione finale "Noi siamo quello che vogliamo essere. Quello che decidiamo di essere.
" mi trovi d'accordo ma non completamente, perchè, purtroppo su di noi, nella nostra crescita ci sono una moltitudine di fattori che influenzano il nostro modo di essere, la nostra personalità. La famigli, sono convinta, abbia un ruolo centrale, la scuola, le persone con le quali siamo state quasi sempre in contatto, anche esse giocano un ruolo determinante nella formazione di un individuo, però, quando si arriva ad un certo punto della propria vita, credo che ci si accenda un qualcosa che ci porta a riflettere su noi stessi ed a fare un'autoanalisi su come siamo in quel momento, cosa c'è che non va, cosa potremmo migliorare, cosa facciamo per gli altri.
Quindi tendiamo a incamminarci in una direzione piuttosto che in un' altra, ma credo che questo lo riesca a fare chi possiede un carattere forte, purtroppo chi è più debole, per vari fattori e motivi, non so quanto vi possa riuscire.

Anna Grazia Giannuzzi ha detto...

Grazie per il tuo commento Ilenia, che trovo molto acuto e va a toccare il punto che volevo trattare e che credo però di non aver completamente esaurito, anche perchè molto difficile in sè.
Il concetto che credo dovremmo sempre tenere presente è questo: la filiazione è un atto unilaterle che non comprende il bambino/a; la genitorialità invece è una dinamica di relazione. In sostanza la mia esperienza diretta è quella di non nascondere alle mie figlie che sono nate dalla pancia di un'altra donna, è un passato che non ha senso non riconoscere ed anzi grazie al quale ci siamo incontrate. Ma da qui a pensare che il legame di sangue debba per forza di cose essere predominante ed assorbente rispetto ad ogni legame elettivo, allora stiamo affrontando un tabù che deve essere demolito. Quando si dice sei sangue del mio sangue si esprime un concetto atavico che cozza contro quel libero arbitrio che si matura crescendo, è un modo di spegnere le potenzialità della persona non un segno di riconoscimento. In questo senso dico io sono quello che voglio essere, io costruisco la mia felicità. L'unico vero diritto in gioco è quello a conoscere la verità e l'unica verità è che qualcuno ha lasciato e qualcun altro ha preso, nel bene e male. Ed è chi ti ha preso che ti aiuta a capire chi sei, anche supportandoti in quel passaggio all'indietro, quel temporaneo rewind, che è un fase che tutti i bambini adottivi attraversano, per chiudere serenamente i conti con il passato di abbandono.
credo ceh ne parlerò ancora. Grazie per avermene dato occasione.

Maddalena ha detto...

Che dire, sono d'accordo con entrambe, per aspetti diversi: con il diritto di conoscere la verità sulla nostra storia e sul fatto che il figlio sia di chi lo alleva con amore piuttosto di chi ti è consanguineo. Mia mamma è stata allevata dalla sua nonna perchè sua mamma è morta di parto. La sua mamma era la nonna, punto e basta.

Anonimo ha detto...

a volte,sembri tormentata da una rabbia sottile..sono stata invadente?spero di no.
antonella

Anna Grazia Giannuzzi ha detto...

Cara Antonella, se il tuo commento si riferisce a me .(..tormentata da una rabbia sottile?) sì, direi proprio di sì, ma non perchè tu sei stata invadente ( ma poi come?), ma proprio perchè parlo di un tema che racchiude tanti temi e talvolta ho la sensazione di non raggiungere il mio scopo. Forse dovrei parlare di frustrazione, che condivido ultimamente con mamme ed insegnanti. Per quanto riguarda il dibattito sui bambini, la maternità, la famiglia questo è un momento storico di grandi battaglie ideologiche, se ne parla molto, ma spesso, mi pare, arroccandosi a luoghi comuni sui quali non si riflette a sufficienza. Il fatto è che le soluzioni di prima non vanno più bene, le certezze di un minuto fa già sono stravolte da cose che succedono ed avvenimenti che si succedono molto rapidamente è un dato non trascurabile. Più di una volta a proposito di iniziative relative alla mia attività in seno ad un'associazione di genitori, mi sono sentita dire cose del tipo: ma questo è un problema per te, perchè tu hai un punto di vista particolare, il generale, cioè il punto di vista della maggioranza, di quello che tu dici nemmeno se ne accorge. Ma questo è un problema mio o della presunta maggioranza? Non è una risposta che mi mette in minoranza silenziosa e cioè: posso pensare quello che penso, ma quanto a condividerlo e far cambiare agli altri il punto di vista questo è un altro discorso? Ma vista la complessità della nostra società, non dovremmo forse fare tutti lo sforzo di vedere le cose dal punto di vista dell'altro? Tra l'altro questo è anche un approccio psicologico che si usa nelle terapie familiari e di coppia.
Per cui, tornando al mio post, il diritto di sapere chi sei secondo me è un diritto, ma la risposta alla domanda chi sei? non è predefinita dal DNA. Se il figlio nato e cresciuto dagli stessi genitori si può permettere di non discutere (o magari solo di non riflettere) il legame di attaccamento, il suo vero significato, e trova nelle stesse persone che lo hanno generato, ma non lo hanno scelto, quei riferimenti affettivi, culturali e di socializzazione che gli permettono di diventare adulto, mettendo eventualmente poi in discussione tutto quello che ha ricevuto come patrimonio educativo ed orientamento alla vita, come credo abbiamo fatto tutti, solo quando decide di costruirsi una famiglia sua, il figlio adottato deve fare due percorsi. Uno di questi è accettare e superare il fatto che chi lo ha generato lo ha poi abbandonato, e che chi lo ha cresciuto, non lo ha generato. Ma non per questo - che alla fine diventa quasi un dato tecnico - non lo sente, non lo ama e non lo pensa come il proprio figlio, l'unico ed il solo, non il sostituto di quello che non è mai nato, non un figlio di ripiego o finto. Questi sono passagi lunghi, dolorosi e fondamentali che costruiscono l'attaccamento tra genitori e figli. Quindi quando vedo film che superficialmente ed enfaticamente affermano che i genitori sono quelli che ti hanno generato non quelli che ti hanno cresciuto, allora con rabbia, sì anche con rabbia, per me stessa, per mio marito e per le mie figlie, e per tutte le mamme ed i padri ed i nonni e gli zii e gli amici, che vivono quello che vivo io, mi sforzo di trovare "le parole per dirlo." Infine, ti dico che molte mamme che conosco, che hanno dovuto fare il test "Adult Attachment Interview" per poter adottare, hanno scoperto di avere avuto con i propri genitori un attaccamento meno che adeguato, quanto a cure materne, sicurezza e protezione, e quindi hanno dovuto lavorare molto su di sè e sul rapporto con i genitori, per potere crescere e scoprire in sè poter essere genitori. In questo caso mi permetto io di dire veri genitori.
Quindi: mettiamoci in discussione e mettiamo in discussione il legame di sangue. Siamo di più che mammiferi evoluti, o no?

Anonimo ha detto...

e beh non è poca cosa essere così anticonformiste e dover sguazzare quasi tutti i dì con stucchevoli tripudi di luoghi comuni conditi da spocchia e presunzione!coraggio!antonella

Anna Grazia Giannuzzi ha detto...

Anticonformista io?!?!?
Grazie è un bel complimento! E' dura, ma si può fare, sicuramente ne vale la pena. E poi mi piaccio così. Ciao.

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