Intervista a Daniela Palazzoli
a cura di Katia Ceccarelli
Daniela Palazzoli è critico d’arte e studiosa della fotografia.
Nella sua lunga carriera si è occupata di fenomeni e movimenti che hanno segnato il cammino dell'arte come Fluxus e l'Arte povera. Ultimamente si è interessata alla pratica multimediale nell'arte ed è stata curatrice di mostre dedicate all'attualità culturale di Cina e India.
Ha insegnato presso l'Accademia di Brera di Milano e successivamente è passata alla sua direzione. Curatrice di esposizioni di rilievo internazionale da Milano a Nizza, da Torino alla Biennale di Venezia. Nel 2005 ha curato la mostra “Cina: prospettive d’arte contemporanea” presso lo Spazio Oberdan a Milano.
Dal 18 ottobre 2007 al 3 febbraio 2008 sarà possibile visitare sempre allo Spazio Oberdan a Milano l'ultima fatica di Daniela Palazzoli ovvero l'esposizione "India arte oggi: l'arte contemporanea indiana fra continuità e trasformazione".
La parola evoca i significati della realtà ma potrebbe assai poco senza il supporto della rappresentazione. La fotografia può essere intesa come sintesi di linguaggio e realtà?
No
La possibilità di interazione offerta dal web permette a chiunque di essere artefice e fruitore di un magma di immagini e testimonianze. Secondo lei l'informazione è davvero a portata di tutti o si tratta di un'illusione?
L'informazione sì, la formazione no.
La sua vicenda di ricercatrice si è indirizzata nel tempo verso quel grande agglomerato geografico oggi chiamato Cindia (Cina + India). Vorrebbe introdurci alla storia di questa avventura?
Cina e India sono solo due dei paesi 'emergenti' di cui mi occupo.
La mia idea è che la scelta di entrare a fare parte delle nazioni industrializzate e competitive sui mercati globalizzati cambierà per sempre profondamente i percorsi e anche i caratteri di quelle nazioni che si sono evolute in modo relativamente autonomo e indipendente. I miei progetti vogliono catturare una specie di prolungata istantanea di una situazione unica, affascinante e destinata a cambiare in modo drammatico.
Nell'incontro con la cultura visiva di questi paesi sono emersi probabilmente
dei percorsi che hanno caratterizzato la sua attuale ricerca: quali gli artisti e le tematiche che l'hanno colpita?
I risultati delle mie riflessioni ed esplorazioni sono il soggetto di queste
mostre e dei relativi libri: quello sulla Cina è edito da Skira, quello sull'India dall'editore Mazzotta.Si tratta di mosaici storici rappresentati con opere molto importanti di quelli che considero i protagonisti più rilevanti dell'evoluzione artistica di quei paesi - una quarantina per la Cina; ventotto per l'India.
Nella storia della fotografia ogni autore ha dato il suo contribuito per arricchirla di molteplici approcci: cosa dobbiamo aspettarci oggi dalla sguardo di queste culture?
Come sempre dei risultati misti: a volte interessanti; a volte inutili, a volte scopiazzati, raramente dei capolavori.
Nel 2005 uscì un documentario girato in India a cura di Zana Briski dal titolo Born into Brothels in cui dei bambini emarginati elaborano la loro condizione usando la macchina fotografica quasi come strumento salvifico. In tal senso l'arte può laddove un intero sistema sociale fallisce?
Trovare un modo di esprimersi sul piano individuale consente di raggiungere una fiducia in sé stessi prima ignota. Per ottenere dei risultati sociali ed eliminare la piaga a cui si riferisce deve entrare in gioco un meccanismo molto più complesso e socialmente condiviso.
In passato i microfilm, oggi supporti digitali sempre più evoluti. Per preservare la memoria contenuta negli archivi è ormai necessario rincorrere la tecnologia. In questo contesto la carta ha ancora un ruolo a disposizione?
Gli archivi raccolgono dati, più che memorie. Esplorarli è interessante per chi sa cosa cercare e registrare, su carta o altrove.
Oggi l'approccio alla fotografia è semplificato dall'impiego di macchine sofisticate ma facili da usare che permettono anche a un neofita di accedere a un'arte per molto tempo ritenuta complicata. Può dunque questa "fotografia in libertà" dare origine a una "libertà della fotografia"?
Per me la fotografia è un linguaggio, un mezzo, non un fine.
a cura di Katia Ceccarelli
Daniela Palazzoli è critico d’arte e studiosa della fotografia.
Nella sua lunga carriera si è occupata di fenomeni e movimenti che hanno segnato il cammino dell'arte come Fluxus e l'Arte povera. Ultimamente si è interessata alla pratica multimediale nell'arte ed è stata curatrice di mostre dedicate all'attualità culturale di Cina e India.
Ha insegnato presso l'Accademia di Brera di Milano e successivamente è passata alla sua direzione. Curatrice di esposizioni di rilievo internazionale da Milano a Nizza, da Torino alla Biennale di Venezia. Nel 2005 ha curato la mostra “Cina: prospettive d’arte contemporanea” presso lo Spazio Oberdan a Milano.
Dal 18 ottobre 2007 al 3 febbraio 2008 sarà possibile visitare sempre allo Spazio Oberdan a Milano l'ultima fatica di Daniela Palazzoli ovvero l'esposizione "India arte oggi: l'arte contemporanea indiana fra continuità e trasformazione".
Daniela Palazzoli con l'artista indiano Subodh Gupta, 2007
La parola evoca i significati della realtà ma potrebbe assai poco senza il supporto della rappresentazione. La fotografia può essere intesa come sintesi di linguaggio e realtà?
No
La possibilità di interazione offerta dal web permette a chiunque di essere artefice e fruitore di un magma di immagini e testimonianze. Secondo lei l'informazione è davvero a portata di tutti o si tratta di un'illusione?
L'informazione sì, la formazione no.
La sua vicenda di ricercatrice si è indirizzata nel tempo verso quel grande agglomerato geografico oggi chiamato Cindia (Cina + India). Vorrebbe introdurci alla storia di questa avventura?
Cina e India sono solo due dei paesi 'emergenti' di cui mi occupo.
La mia idea è che la scelta di entrare a fare parte delle nazioni industrializzate e competitive sui mercati globalizzati cambierà per sempre profondamente i percorsi e anche i caratteri di quelle nazioni che si sono evolute in modo relativamente autonomo e indipendente. I miei progetti vogliono catturare una specie di prolungata istantanea di una situazione unica, affascinante e destinata a cambiare in modo drammatico.
Nell'incontro con la cultura visiva di questi paesi sono emersi probabilmente
dei percorsi che hanno caratterizzato la sua attuale ricerca: quali gli artisti e le tematiche che l'hanno colpita?
I risultati delle mie riflessioni ed esplorazioni sono il soggetto di queste
mostre e dei relativi libri: quello sulla Cina è edito da Skira, quello sull'India dall'editore Mazzotta.Si tratta di mosaici storici rappresentati con opere molto importanti di quelli che considero i protagonisti più rilevanti dell'evoluzione artistica di quei paesi - una quarantina per la Cina; ventotto per l'India.
Nella storia della fotografia ogni autore ha dato il suo contribuito per arricchirla di molteplici approcci: cosa dobbiamo aspettarci oggi dalla sguardo di queste culture?
Come sempre dei risultati misti: a volte interessanti; a volte inutili, a volte scopiazzati, raramente dei capolavori.
Nel 2005 uscì un documentario girato in India a cura di Zana Briski dal titolo Born into Brothels in cui dei bambini emarginati elaborano la loro condizione usando la macchina fotografica quasi come strumento salvifico. In tal senso l'arte può laddove un intero sistema sociale fallisce?
Trovare un modo di esprimersi sul piano individuale consente di raggiungere una fiducia in sé stessi prima ignota. Per ottenere dei risultati sociali ed eliminare la piaga a cui si riferisce deve entrare in gioco un meccanismo molto più complesso e socialmente condiviso.
In passato i microfilm, oggi supporti digitali sempre più evoluti. Per preservare la memoria contenuta negli archivi è ormai necessario rincorrere la tecnologia. In questo contesto la carta ha ancora un ruolo a disposizione?
Gli archivi raccolgono dati, più che memorie. Esplorarli è interessante per chi sa cosa cercare e registrare, su carta o altrove.
Oggi l'approccio alla fotografia è semplificato dall'impiego di macchine sofisticate ma facili da usare che permettono anche a un neofita di accedere a un'arte per molto tempo ritenuta complicata. Può dunque questa "fotografia in libertà" dare origine a una "libertà della fotografia"?
Per me la fotografia è un linguaggio, un mezzo, non un fine.
4 commenti:
Katia,
vorree esprimere un giudizio, invece constato la mia ignoranza in materia; ma ti sono grata per le informazioni che diversamente non avrei avuto.
ammiro gli interessi ed il lavoro della signora Palazzoli, amo le esposizioni e il mio sogno (chiaramente irrealizzabile, viste le scelte di vita fatte fino a questo momento) sarebbe quello di curarne una....inoltre, l'interesse per queste culture, così sfaccettate, è di ampio respiro.
complimenti ancora.
Estremamente interessante, come tutte le cose che scrivi. Domani sono a Milano andrò a vedere la mostra.
P.F.G.
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