domenica 21 ottobre 2007
Di mamma (non) ce n'è una sola.
a cura di Anna Grazia Giannuzzi
A casa. 2/2
Siamo generalmente portati a pensare che ogni individuo sia il frutto di una particolare combinazione tra eredità genetica ed esperienza.
Questo è ancora più vero per i bambini adottati, che non sono speciali solo perché adottati, ma semplicemente perché se paragonati ad un altro bambino della stessa età, hanno avuto rispetto a questo esperienze diverse e molto più forti.
Dal punto di vista dei bambini l’adozione significa anche una grave privazione: la perdita completa e rapida del contatto con tutto quello che hanno conosciuto ed amato, inclusa la lingua che parlano, e l’essere trasportati fisicamente in un mondo nuovo dove tutto è sconosciuto.
Le quattro mura di un istituto possono essere una certezza, i confini sicuri dell’unico mondo che si conosce, dell’unico modo di stare al mondo che si pensa possibile.
Sebbene accompagnati da braccia amorevoli, i bambini e le bambine adottate hanno tanti timori: il nuovo mondo può essere invitante, interessante e molto spesso dentro il cuore portano una voglia enorme di lasciarsi andare, di fidarsi e lasciar fare i nuovi genitori. Non per questo la situazione in cui si trovano non gli appare sconvolgente o meno stressante. Appaiono felici ed ansiosi di conoscere e godere di tutte le cose nuove che gli si offrono, ma passano anche dei brutti momenti, che li rendono instabili, irritabili.
A volte purtroppo è difficile capire e non si sa come aiutarli: perché, ad essere sinceri, per il genitore adottivo è molto doloroso accettare l’idea che al proprio figlio possa mancare la condizione di solitudine dalla quale lo abbiamo strappato. Però è così: provano dolore per quello che hanno perduto, per tutto quello che è stato importante nel passato: il letto con le sbarre, un pupazzo, una finestra dalla quale guardavano la città, il percorso in autobus dalla casita a scuola, le maestre, le feste di compleanno, le merendine, le visite notturne al nido dove c’erano i bambini piccolissimi. Una vita. I bambini e le bambine adottate conoscono i fantasmi del passato, magari davvero sentono rumore di catene nella notte.
Si angustiano e mentre nuovi stimoli e suggestioni gli ricadono addosso come una valanga, temono anche di perdere quello che hanno appena conquistato.
Tutte e tre le mie figlie hanno subito un allontanamento traumatico dalla madre, non hanno potuto sviluppare l’attaccamento, non sono state sufficientemente abbracciate, nutrite, contenute, e ad un certo punto della loro vita hanno dovuto contare solo su loro stesse. Grazie all’adozione, hanno trovato finalmente una famiglia, ma saranno impegnate nel corso di tutta la sua vita ad integrare due parti di sé: il prima e il dopo.
Ho provato a spiegarlo alle maestre, che ritengono che la mia figlia più grande sia precoce: infatti ha un anno in più dei suoi compagni.
Quando lei ha scritto un tema sull’altra mamma non hanno pensato fosse il caso di avvisarmi. Anzi quando ho provato a spiegare alcuni suoi comportamenti alla luce del fatto che sta soffrendo perché si sente felice mentre comincia a lasciarsi alle spalle il proprio passato e nello stesso tempo ha paura di farlo, la maestra mi ha risposto: mi hanno detto che succede.
Infine, pare abbiano schedato i bambini stranieri e con loro mia figlia che è nata a Bogotà ma è cittadina italiana e figlia di italiani.
I bambini stranieri hanno una lingua madre in senso tecnico e simbolico, è una lingua culturale e di identità; quella che useranno magari, un giorno, per comunicare con i parenti rimasti nel paese di origine, o se sceglieranno di tornare a vivere in quel paese, comunque per integrare al meglio le due realtà che lo caratterizzano, quella italiana e quella straniera.
Il rapporto con la lingua spagnola e con la cultura colombiana per noi si pone su un altro piano. Lo spagnolo per loro era solo una lingua di comunicazione, povera fredda, non materna nel senso più ampio del termine.Ha trasmesso loro davvero poco, anche se alcune cose importanti resteranno, altre saranno dimenticate per sempre. Come nella maggior parte dei casi di bambini adottati, anche le mie figlie dimenticheranno; non completamente spero, solo le cose più brutte.
La lingua dell’amore per loro è l’italiano, quella con cui chiamano le cose e le persone che amano ed a cui sorridono, quella con cui scoprono e chiamano il mondo: quella con cui acquistano un'identità.
Quella con cui esprimono i sentimenti.
Non è solo una questione di sovrapposizione di strutture linguistiche, ma proprio di pensiero, dove la mancanza di cura ha provocato carenze cognitive, ci inseriamo noi oggi per aiutare a compensare, tra coccole ed esercizi extra.
I primi giorni di scuola mia figlia che non parlava ancora bene, imitava i comportamenti delle bambine di cui voleva essere amica e capiva quando le dicevano che era straniera e che se ne tornasse nel suo paese (quale paese? Lei non è straniera, il suo paese è l’Italia!).
Quando proprio non ce la faceva più, parlava con un albero e disegnava sulla corteccia mutandine, maglietta e cappellino.
Mi chiedo come le insegnanti potranno aiutare le mie figlie se non sono pronte a capire l’origine delle loro difficoltà.
Trovo sconvolgente quello che devo affrontare, ma accetto la sfida per amore e, soprattutto, perché sto facendo di tutto per determinare un cambiamento.
Forse con le più piccole ce la farò.
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2 commenti:
Che difficile il mestiere di mamma!!!
Cara Anna Grazia
ho finalmente avuto il tempo per leggerti come meritavi. Sai i tuoi articoli sono sempre profondi e non riesco a leggerli così tanto per farlo.
Ho trovato nelle tue parole un misto di rabbia ed indignazione, ma anche e soprattutto mi è sembrato di sentire molta, molta delusione.
Chi si occupa di bambini ha un ruolo di accudimento di cui spesso, purtroppo, non è all'altezza. E il tuo caso che è davvero complesso e delicato meriterebbe attenzioni più adeguate.
Ciò che non puoi fare tu, anche se sono convinta che potresti farle anche da maestra, comunque dove tu non puoi agire ti devi affidare ad altri che dovrebbero fare da ponte tra te e tua figlia.
Sono convinta che tu sarai in grado di trovare la soluzione a questa lacuna e tua figlia ha davvero una mamma fantastica! Anzi tutte e tre!!
Se mi permetti, un bacione
Ely
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