sabato 21 aprile 2007

Porte chiuse

Non voglio più chiedermi o stupirmi del perché accadono certe cose, voglio solo imparare ad accettare il fatto che siano loro a cercare me, a parlarrmi.
Io devo solo chinarmi a coglierle.
Imparare ad ascoltarle.
Guardando la vita da questa prospettiva si può provare una forte sensazione di vertigine, come se la terra sotto i nostri piedi all’improvviso non ci fosse più. Ma è solo un inganno costruito dalla nostra mente per giustificare un disagio.
Liberiamoci dai blocchi che ci pone la ragione e scopriamo la nostra vera natura, quella di chi ci sta di fronte.
Alcuni sono nati con le ali.
Alcuni respirano acqua.
Siamo gocce di rugiada, vento di libeccio e granello di Sahhara.
Superare il limite è guardare il nostro vero io.
Vi propongo la lettura di questa storia, a puntate.
E aspetto le vostre storie.


“Bene, la ringrazio per essere venuta signora…, emh… sì certo, signora Sophie e, non si preoccupi le faremo sapere …, non si preoccupi. Buona giornata.”
L'accompagnò furori dall'ufficio sino all'ascensore, con la fedele segretaria al seguito. Le strinse la mano e rimase sulla porta a guardarla finchè non arrivò l’ascensore. Sorrideva, laconico e la guardava.
Sophie ferma davanti alle porte chiuse dell’ascensore.
Quelle maledette porte che non si aprono mai al momento giusto, così quello sguardo raccapricciante si sarebbe nuovamente soffermato sulle sue gambe e questa volte il lieve tremore sarebbe stato palese.
“Ma chi se ne frega, che veda pure. Tanto, comunque sia, non mi farà sapere proprio un bel niente. Come tutti gli altri. E io sono stufa di incontrare gente così! Gente che non sa aprire gli occhi...”
Per l’ennesima volta non avevano considerato nulla di lei, a parte i suoi limiti.
Uscita da quel bel grande palazzo della Galbiati Conulting & Co, s’incamminò lentamente verso la stazione metropolitana di Duomo, le gambe le tremavano, a causa dell’agitazione, di ... e delle scarpe nuove; belle ma poco rassicuranti con quel tacchetto fine, per non parlare della sua testa persa ancora in quell’ufficio. “Accidenti, non me ne va' una giusta e poi quell'arpia. Che donna acida e.. sicuramente zitella! Come si è permessa di dirmi quelle cose? Ma che ne sa lei di quanto valgo quella sottospecie di zerbino del boss”.
La segretaria del Dott. Galbiati era stata veramente inopportuna: “Ma sì, si vede che lei si é data da fare in tutto questo tempo. Però può garantirci che ce la farà a sostenere lo stress di un lavoro così impegnativo? Senza contare che dovrà imparare cose nuove? In fondo sono 10 anni che lei non è più operativa. Inoltre, ce la farà a passare nove, dieci ore in ufficio, conciliandole con la sua ...emh ... situazione? Il marito... il figlio ...? Cerchi di capire Sophie, questa è un’azienda dinamica e, e ...”
Ma perché tutti si divertivano a mettere in discussione le sue capacità senza neanche darle l'opportunità di provare sul campo ciò che sapeva fare? Perché tutti si limitavano a guardare e a prendere in considerazione solo quel pezzo di carta che parlava dei suoi limiti fisici?
Scese le scale della metropolitana cercando di pensare a qualcosa di positivo. “Bhe almeno ha smesso di pio... oh...! “Neanche il tempo di finire il pensiero che qualcosa la fece scivolare e ...”Ahh! Ahia!”
E volò lunga distesa giù per le scale sotto una pioggia di oggetti, i suoi: il quotidiano, fotocopie varie, l'ombrello, la borsetta, tutti lanciati in aria nel disperato tentativo di aggrapparsi al corrimano. “Oh, oh, oh ... Ehi! ma chi diavolo, che cavolo fai!!! ” Ebbene sì, aveva travolto un ignaro passante. “Mi dispiace, mi-mi scusi. Io, io non vo-volevo ...” L'uomo si rialzò velocemente e con aria a dir poco adirata si voltò a guardare chi, chi era la stupida oca che l’aveva travolto.
Macchè stupida oca. Schiacciata contro gli scalini c’era una giovane donna dolente e col volto terrorizzato, intimorita da tanta ira. Vedendola, così fragile e disperata si sentì stupido lui. Le fece una gran pena e si rammaricò con se stesso per aver imprecato. “Si é fatta male?” “ No! No, non si preoccupi.” Sophie non sapeva se provare più vergogna o rabbia. le veniva da piangere per il dolore al sedere, ma si trattenne. Le venne voglia di urlare, ma le parve inopportuno e poi le scappò da ridere perché in fondo era macchietta degna di “paperissima “.
Raccolse alla rinfusa ciò che aveva seminato sulla scalinata, infilò tutto in borsa e si scusandosi ancora cercò di recuperare un controllo dignitoso del suo corpo.
L'uomo si accertò che lei stesse bene, le sorrise dolcemente e poi andò via, di corsa.
Sophie lo vide allontanarsi, controllò di aver recuperato tutto e si guardò intorno. Nessuno parve aver fatto caso a lei, tutti erano molto di fretta e di corsa, su e giù per quella scalinata, passandole a fianco, urtandola.
Stava intralciando il traffico pedonale.
Porte chiuse, scale scivolose, persone di corsa. Un mondo impossibile da penetrare, per una come lei.

2 commenti:

Naima ha detto...

... aspettiamo il seguito!!!

IleniaF ha detto...

Ciao, ho letto con particolare attenzione il tuo racconto ed effettivamente mi mette tristezza il pensiero che nel mondo moderno siamo soltanto un numero in mezzo ad una innumerevole infinità di altri numeri, cui la gente non fa proprio caso.
Viviamo nell'indifferenza più totale accompagnata dall'egoismo ed dalla superficialità e, a me personalmente, questo fa molto male perchè vorrei tanto poter cambiare le cose ma capisco anche che forse non sarebbe neanche giusto, mah..... chissà.

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