lunedì 18 aprile 2011

Lugano sola andata

di Elena Banfi

Pasqua 2011: lontano da Tokyo


Sabato 11 marzo. È uno strano risveglio questo. C’é stato un terremoto in Giappone e non uno dei soliti… Tacciamo tutti in casa in attesa di informazioni più precise. Abbiamo laggiù amici molto cari, una su tutti: Hiromi. Con lei ho studiato in Spagna quasi vent’anni fa. Abbiamo vissuto insieme e appreso l’una dall’altra abitudini ed usi che oggi ormai fanno parte delle nostre reciproche esistenze.
È stata mia ospite a lungo in Italia, che insieme abbiamo visitato, ha conosciuto la mia famiglia, i miei amici e anche dopo il suo ritorno in Giappone non abbiamo mai spezzato il filo rosso che ci univa. Ho seguito da lontano la sua ascesa professionale e spesso lei nei suoi viaggi in Europa faceva tappa ovunque mi trovassi, in Italia, a Ginevra o a Londra, per farmi visita.
“Un giorno dovete venire voi in Giappone”, ripeteva. Perché io nel frattempo mi ero sposata.  Qualche tempo dopo c’era stato il suo matrimonio con un professore inglese e, per tutte e due, i bambini. Così avevamo rimandato di anno in anno il nostro viaggio a Tokyo. Fino alla scorsa primavera, quando nel corso di una telefonata ci eravamo promesse che il 2011 sarebbe stato l’anno giusto. I bambini erano cresciuti e giugno sarebbe stato il mese perfetto.
Invece il terremoto, e lo tsunami.
Cerchiamo notizie su internet, seguiamo ogni telegiornale, finché mi decido a scriverle. Todo bien? In castigliano, come sempre.
Risponde poche ore dopo. Il terremoto é stato di una violenza rara perfino per chi, come lei, è abituato a conviverci. Ma a Tokyo non sembrano esserci state conseguenze significative. Mi tranquillizza.
14 marzo. Si comincia a parlare dei danni alle centrali nucleari, contaminazione, radiazioni, pericoli concreti. Le ambasciate consigliano di abbandonare il paese.
Difficile telefonare, internet é l’unica via di comunicazione. “Possiamo fare qualcosa?” Chiedo. Risponde raccontando di una situazione irreale, della fuga degli stranieri, della corsa quotidiana ad accaparrarsi i generi di prima necessità che si esauriscono in poche ore, delle interruzioni di energia elettrica. Si preoccupa per i bambini, il suo ha solo 4 anni.
Scrivimi dice, scrivimi una lunga lettera e raccontami qualcosa di voi, qualcosa di divertente.
Seguono altri mail, ci scambiamo fotografie, informazioni, aneddoti. Intanto le notizie si fanno sempre più preoccupanti.
Venite via, le dico, in Inghilterra o qui. Loro sembrano incerti, confusi. Il governo li rassicura e la loro vita continua fra le difficoltà e la paura. Faccio fatica a capire.

È passato un mese ormai e fra poco sarà Pasqua. La sorpresa che vorrei? Passare quel giorno con Hiromi, vedere i nostri figli giocare insieme sotto il sole come non hanno mai ancora fatto, vederli correre, ridere in un intreccio di idiomi che vanno dal giapponese all’italiano, dal tedesco all’inglese e sapere che sono al sicuro. Mentre noi due “seguimos hablando español como si nada hubiese pasado.”
Da dieci giorni non ho più notizie di Hiromi e della sua famiglia.

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