domenica 8 novembre 2009

Di mamma (non) ce n'è una sola


A proposito di spropositi
a cura di Anna Grazia Giannuzzi

Ho riletto le poesie di Alda Merini e vi propongo questa che ho sempre interpretato come metafora dell’amore adottivo tra madre e figli.

Dio arriverà all'alba
Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.

Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.

Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.



Non ho mai amato la parola amore, nel senso che trovo se ne faccia troppo spesso un uso inappropriato, spropositato e superficiale. Di solito un genitore non dice ti amo, ma ti voglio bene, eppure questo bene vuole sottintendere che amore migliore di quello non ne puoi trovare, è unico, assoluto, indiscutibile, incondizionato. Non è vero. È tanto spesso un amore che vincola, che impoverisce, che sovrappone il genitore al figlio, che sovrappone la realtà del genitore a quella del figlio, è privo di comunicazione e spesso zeppo di rivendicazioni che altrove non hanno trovato ascolto. Credo che il peggiore errore che possa fare un genitore è quello di non interrogarsi mai sulla natura e l’origine del proprio amore per i figli. Ed anche sulla sua esistenza, per quanto assurdo vi possa sembrare.
Ragionavo con un’amica qualche giorno fa. In una conferenza che avevo tenuto lo scorso anno avevo sconvolto i pochi gentili e pazienti uditori affermando che ci sono statistiche che dimostrano che le donne sono meno pagate degli uomini a parità di lavoro, sia in America che in Europa, ed anche in Italia. Gli imprenditori presenti, che, sarò cattiva, ma credo non conoscessero nel dettaglio le politiche del personale delle loro aziende, negarono animatamente che questo potesse essere vero anche nella nostra splendida provincia.
- Qui le statistiche ufficiali non ci sono ancora, ma vi assicuro che è così!
Qualche mese dopo i dati provinciali confermarono, purtroppo, le mie affermazioni. Ma quello di cui io e la mia amica discutevamo nel dettaglio era ancora un’altra cosa, collegata a questa. Le donne sono capaci di rivendicare un aumento di stipendio? Il punto è il rapporto delle donne con il denaro. Come siamo state cresciute circa il rapporto con il denaro? Quali erano le aspettative dei nostri genitori rispetto alla nostra indipendenza economica ed al nostro successo professionale? Gli studiosi dicono che effettivamente esistono “binari” economici differenziati per maschi e femmine. È più facile che un maschietto venga cresciuto con l’idea che fare soldi nella vita è bello, giusto, intrigante, rende amabili e desiderati, è virile ed assicura il successo sociale, è razionale e rende sicuri di sé, chi non ci ama si può comprare, perché mai come oggi tutto ha un prezzo e qualcuno dice anche tutti. Le donne potranno mantenersi da sole, certo ci mancherebbe altro. Oggi normalmente un solo stipendio non è sufficiente a mettere sù famiglia, e si manterranno fino a che, appunto, non si sposeranno; sapranno, anzi dovranno saper amministrare il budget familiare, risparmiando magari come delle formichine operose. E se guadagnano più dei mariti, beh è un poco difficile mantenere un equilibrio dei ruoli, perché a quello che sento, i migliori preferiscono non sapere. Tranne qualche rara eccezione che vorrebbe stare a casa con i figli se la moglie o la compagna guadagnasse abbastanza per entrambi.
Le donne che amano il denaro (sono donne?) appaiono aride, meschine, avide, calcolatrici, moralmente discutibili perché per le donne deve valere di più il concetto che il lavoro nobilita, insomma non si lavora solo per i soldi. E le più in gamba sono ancora quelle che i soldi li sposano, lì sì che i conti si possono, anzi si devono fare. D’altro canto sposare uno povero appare penoso quanto restare zitelle, oops!, volevo dire single.
Alla luce di ciò che sembra medioevo ma è incredibilmente attualità, la domanda è: ma le donne sono capaci di rivendicare la qualità del loro lavoro ed a parità di lavoro chiedere di essere pagate bene?

Conosco una donna che, a causa del suo basso stipendio, dice di non potersi separare dal marito, che non la ama più e pazientemente continua a mantenerla fino a che non trova qualcosa di più adatto a lei. ( Ma forse lei è furba)
Ne conosco un’altra che lavora a consulenze e ancora le devono pagare quelle dell’anno scorso.
Ne conosco un’altra che ha fatto causa all’ufficio perché ogni anno le dà un bonus di risultato, ma si rifiuta di promuoverla, in modo che possa fare regolarmente il lavoro che già fa e che assurdamente solo lei sa fare. Quando ha detto che basta, che non voleva più fare mansioni superiori gratis, prima le hanno detto che l’ambizione non è un bel sentimento in una donna, poi le hanno comunicato il trasferimento in un’altra città. Infatti, lei aveva detto che voleva cambiare ufficio.
Conosco me, costretta dai pettegolezzi di una collega scaltra ed invidiosa a smettere di fare la rassegna stampa in una tv privata, la mattina all’alba prima di andare in ufficio. Il capo minacciosamente sentenziò che non era compatibile con il mio incarico pubblico- lo era, lo era – ed usò queste precise parole: E pensi se la Tv fosse di Berlusconi!!
Oggi ci penso, ci penso eccome…. Vabbè in un moto di rabbia ho mollato la tv e nemmeno sono andata a ritirare l’ultimo stipendio. Per protesta. Ma testolina, mi dico, protesta contro chi?

Insomma, e qui concludo, che razza di casini combinerò con le mie figlie?

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