lunedì 6 aprile 2009

Archi.D.Arte




Pollai in terrazzo
a cura di Margherita Matera

Donne al volante. In bici. Il verde. Gli alberi che si vedono dalla finestra. Lo spazio prima di un altro edificio. Quello che dal mio confronto con Giorgio è emerso come: cercare l’orizzonte. Guardare verso casa.
La neve. Tutto bianco. Il freddo. L’ordine. Lo stop ai semafori.
Amada ha visto questo, Amada racconta questo del suo primo respiro italiano. Viene da una cittadina a 40-50km dal Cairo. Apre la sua porta a me, perfetta sconosciuta, mi presenta la sua bellissima moglie Ynes e il suo bimbo. L’altra bimba dorme. È pomeriggio a Bologna. Prima che arrivassimo guardava la tv, campionato egiziano. Magia del satellite. Mi faccio spiegare un po’ chi gioca. Mi stupisce che lo stadio sia enorme e pieno di gente. Lui dice che gli italiani sono più veloci in campo. Totti l’esempio.

Ha preparato per me e Giorgio dei dolci egiziani. Buoni davvero. È un gran chiacchierone, molto disponibile alle mie domande. Matematico. Il mio pensiero è corso a Pitagora. Ovvio.
Ynes, invece ha studiato come assistente sociale. Ora fa la mamma. Non parla bene l’italiano. È qui da meno tempo e per questo si è integrata meno, è come se non volesse lasciare del tutto la sua casa natia. È come se la sua lingua fosse la chiave personale del suo mondo, qualcosa di suo, che conserva. Al contrario di Amada, ricco di parole, infinite. Che cerca la comunicazione, che ama raccontarsi. Dotato di estrema fiducia. Generoso di vita.
Mi racconta della sua terra. Dei condomini familiari, o forse dovrei dire famigliari, accezione che preferisco. Condomini dove le galline sono in terrazzo se non si ha un piazzale davanti. E no, non c’è molto spazio tra le case. Sono molto vicine. Troppo. Quasi si può saltare da un balcone all’altro. Il verde non si vede. Il verde è fuori, da casa non si vede. È un tempo diverso. Più lungo. O più grande?
Forse il caldo fa lento il tempo.
Chiaramente, da buona donnina lascio che il discorso si tinga di rosa. Amada mi fa vedere degli spezzoni in dvd del suo matrimonio con Ynes che mi è seduta di fianco. Io e Giorgio siamo stupiti dal fatto che è molto simile ai nostri festeggiamenti. Ynes fantasticamente vestita di bianco, lui elegantissimo in nero. La sala è ricca e prima di entrare si cantano dei canti. Le luci. Come una bimba io resto stregata dalle luci. Quante. Quante luci. All’entrata, nella sala…quante luci. La vista di tutte quelle luci colorate fa rumore. Un enorme frastuono. Riempie.
Oggi, nello scrivere questo post, o blogspot, come lo chiama qualcuno, il ricordo di quel pomeriggio si costruisce di luci, insegne. Dal Cairo, a Palermo, da Napoli ad Istanbul. Si riscalda di un clima mediterraneo. Un soffio d’Africa. Che passa nella gente. Che entra da qualche finestra. Che piove deserto. Che asciuga i panni davanti al Vesuvio. Penso a quante volte ho fatto il bagno su delle coste lunghe e vuote pensando di avere l’Africa davanti. Un altro continente. Penso ai mercati del Cairo alle persone che mi toccano. Lì il contatto è diverso. Il senso del contatto è differente. La folla e il deserto. La pioggia di luci e la siccità.

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