lunedì 21 febbraio 2011

Psiché

di Susana Liberatore

Sulla macchina fotografica che riusciva a vedere sotto i vestiti

Quando parliamo delle maschere ci viene subito da pensare a qualcosa di artificiale, di non naturale, di finto. Bisognerà allora toglierla, perché oltre a essa, nascosta, c’è la verità. Ma è veramente così? Forse prima di buttarla giù sia lecito domandarsi sulla questione dell’ autenticità di essa e della sua funzione strutturale. 
Per cominciare, vorrei riprendere le considerazioni dell’ antropologo strutturalista Claude Lévi-Strauss che ha parlato delle maschere nel suo studio sulle tribù primitive. Il suo punto di partenza è stata la suggestione profonda esercitata su di lui da queste maschere fin dai tempi in cui le aveva potute ammirare all'American Museum of Natural History di New York. Il loro straordinario valore dal punto di vista estetico non è riuscito ad appagare l'interesse dell'antropologo, che si interroga sul significato di quei visi così insoliti, a volte con occhi paurosamente sporgenti e lingue pendule, altre volte con occhi e bocca profondamente incavati. Per l’ antropologo francese le maschere, come i miti, sono espressione letteraria e artistica attraverso i quali popoli o tribù definiscono la propria concezione del mondo e i propri criteri di classificazione materiale e morale della realtà. E’ un gioco di differenza e contrasto, in cui un soggetto, attraverso il suo utilizzo si fa “disegnare”, acconsentendo di giocare un ruolo preciso tra le coordinate simboliche del suo mondo sociale, regime simbolico che è il principio dell’ orientamento che ci permette di “stare in piedi”.

Il complesso e affascinate rapporto tra il vestito, la maschera, i trucchi e la funzione dell’ immagine nella vita umana, come rimedio al vuoto che la pervade, è stato ripreso da Eugénie Lemoine-Luccione nel suo libro “Psiconalisi della moda”.[1] Ella cita una frase di Jacques Lacan …”L’ abito ama il monaco, dato che in tal modo essi sono uno”. Aggiungendo dopo …“è il vestito che risulta essere la forma data alla stoffa; ed è proprio questa forma che intesse la consistenza immaginaria che corrisponde all’ Io”. Il vestito appare dunque come una pelle simbolica, l’ involucro che manifesta la socialità costitutiva del soggetto. Il vestito può essere ciò che contiene e ciò che fa credere che ci sia un contenuto. Il soggetto umano ha trovato alloggio nelle maglie di questa rete intessuta di desiderio e di identificazione. Questione che spiega perché non sarebbe possibile prescindere dalle maschere totalmente. 
Dunque, c’ è bisogno di qualcosa per coprire un vuoto, con cui precisamente La Donna ha un rapporto particolare. Jacques Derrida diceva che non esiste l’essenza della donna, perciò è sempre più propensa al cambiamento, al gioco delle maschere, all’ utilizzo dei veli per coprire questa inconsistenza.

Per chiudere e come esempio di questo complesso gioco di “presenza-assenza” per il femminile , vorrei condividere con voi il “Il monologo di Agrado” recitato da Atonia San Juan nel film “Tutto su mia madre” (1999) di Pedro Almodòvar. http://www.youtube.com/watch?v=hFTG1PCfk9s&playnext=1&list=PLB33930E826363ADD 

…..”Mi chiamano Agrado, perché per tutta la vita ho sempre cercato di rendere la vita più gradevole agli altri. Oltre che gradevole, sono molto autentica...guardate che corpo!
Tutto fatto su misura: occhi a mandorla Ptas. 80.000, naso Ptas. 200.000, buttate all'immondizia perché l'anno dopo me l'hanno ridotto così con un'altra bastonata. lo so che mi da personalità, però, se l'avessi saputo non me lo toccavo. Continuo...tette, due, perché non sono mica un mostro, Ptas. 70,000 ciascuna, però le ho già  superammortizzate; silicone: labbra, fronte, zigomi, fianchi e culo, un litro sta sulle Ptas. 100.000, perciò fate voi il conto che io l'ho già perso. Limatura della mandibola Ptas.75.000, depilazione definitiva con il laser -perché le donne vengono dalle scimmie tanto quanto gli uomini- Ptas. 60.000 a seduta, dipende da quanta barba una ha, normalmente da una a quattro sedute, però, se balli il flamenco, ce ne vogliono di più! Chiaro! Bene. Quel che stavo dicendo é che costa molto essere autentiche, signora mia, e in questa cosa non si deve essere tirchie, perché una é più autentica quanto più assomiglia all'idea che si é fatta di se stessa.” 


P/S: Questo fine settimana, dopo che avevo finito la stesura di questo testo, ho sentito una barzelletta che riassumeva e sottolineava, molto meglio di me, ciò che volevo dire. Essa raccontava d’ una macchina fotografica che riusciva a fotografare sotto i vestiti. Solo che la lente era così potente che era capace di vedere sotto la pelle.

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