Il Medico della Peste
“Sono una persona con l'aria sospetta, lo so, perché non ho mento. […] In me collo e mento fanno un tutto unico, e questo ispira diffidenza. Anche mia madre era così.” (Ian McEwan, “Farfalle”)
Ci sono maschere che non scegliamo, che ci vengono affibbiate in nome dei cliché, dell'abitudine.
Per Franz Boas esiste una connessione fra volgarità di aspetto e dell'anima già nel parlare corrente.
Retaggi del passato? Forse. Attualità sconcertante? Probabile.
Una volta un amico si fermò a osservarmi. Poi, con fare altisonante annunciò:
-Hai gli occhi curvi verso il basso, sei una che cerca di fregare il prossimo.
-Io?- Risposi allocchita, -Che se mi passano davanti alla cassa non proferisco parola?
Gli occhi come specchio dell'anima.
Nonostante qualche tentativo, la fisiognomica non ha mai assunto il rango di Scienza. Ma sono ancora in tanti a pensare che la fronte bassa è pigrizia di idee e che il crudele si riconosca dalle labbra sottili.
E anche qualche personaggio celebre non esita a dirci la propria.
Come Jovanotti, che in un'intervista a Vanity Fair parla dei “lungagnoni”, che sono veloci e vanno lontano; e dei tarchiati, pericolosi perché guardano il mondo dal punto di vista dei carrarmati.
Ci sono maschere che ci vengono attribuite ed è difficile scrollarcele di dosso.
E ce ne sono altre che ce le affibbiamo da noi. Per difesa, perché il rischio di soccombere è forte.
Come il Medico della Peste, che durante le epidemie che flagellarono la Serenissima era il solo ammesso alla cura del morbo. Si racconta che all'estremità della sua maschera, con la punta a forma di becco di tucano, venissero inserite delle spezie, per coprire il tanfo degli infetti. E con l'illusione di sanare l'aria circostante. Quella maschera, insomma, proteggeva dalla morte.
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