Effetto Dio.
Quale memoria ci evoca l’espressione ”un raggio di sole”? Ricordiamo il piacevolissimo fastidio di quanto ci colpisce inaspettatamente, magari in pieno volto; così luminoso da farci chiudere istintivamente gli occhi. Ricordiamo il calore che irradia sulla pelle e la sensazione di benessere che ci regala, soprattutto se giunge dopo una lunga serie di giornate fredde e buie.
E’ un’esperienza sensoriale quasi completa: ha persino un buon profumo.
Inoltre ha un impatto emotivo importante; qualsiasi cosa illuminata dal sole ha un aspetto migliore. Anche le persone.
Al sole è collegato, in questo senso, un immaginario eterogeneo ma immediato, poiché, in ultima analisi, il suo fulgore è metafora suprema di vita.
Dal punto di vista religioso, ancora, la luce è un simbolo divino, che palesa inequivocabilmente la presenza dell’Altissimo. E la sua benevolenza verso gli individui che essa illumina.
Questa potente suggestione è condivisibile, e comprensibile, anche dagli scettici, attraverso un parallelo insospettabile con una delle più popolari forme d’arte: la fotografia. Che ha coniato un’espressione evocativa (ma quasi blasfema) per descrivere il fenomeno per il quale il sole “buca” parzialmente uno strato di nubi e irradia raggi di luce dall’aspetto geometrico, denso, quasi solido. E che illuminano il pulviscolo nell’aria facendolo brillare. Anche il fotografo meno esperto vi confermerà che questa meravigliosa manifestazione della natura – divina? – è chiamata, per l’appunto, “Effetto Dio”.
Non è dato conoscere la paternità di questa definizione, ma ciò non ne intacca minimamente il fascino. Perciò, che siate credenti o meno, mi permetto un suggerimento: sollevate più spesso gli occhi al cielo e, quando avvisterete un “effetto Dio”, lasciatevi sedurre da questo prodigio.
Perché non è necessario frequentare un luogo di culto per contemplare, rapiti, la poesia del creato.
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