giovedì 23 giugno 2011

Senza filtro

di Simona Betti











Effetto Dio.


Quale memoria ci evoca l’espressione ”un raggio di sole”? Ricordiamo il piacevolissimo fastidio di quanto ci colpisce inaspettatamente, magari in pieno volto; così luminoso da farci chiudere istintivamente gli occhi. Ricordiamo il calore che irradia sulla pelle e la sensazione di benessere che ci regala, soprattutto se giunge dopo una lunga serie di giornate fredde e buie.

E’ un’esperienza sensoriale quasi completa: ha persino un buon profumo.
Inoltre ha un impatto emotivo importante; qualsiasi cosa illuminata dal sole ha un aspetto migliore. Anche le persone.
Al sole è collegato, in questo senso, un immaginario eterogeneo ma immediato, poiché, in ultima analisi, il suo fulgore è metafora suprema di vita.
Dal punto di vista religioso, ancora, la luce è un simbolo divino, che palesa inequivocabilmente la presenza dell’Altissimo. E la sua benevolenza verso gli individui che essa illumina.
Questa potente suggestione è condivisibile, e comprensibile, anche dagli scettici, attraverso un parallelo insospettabile con una delle più popolari forme d’arte: la fotografia. Che ha coniato un’espressione evocativa (ma quasi blasfema) per descrivere il fenomeno per il quale il sole “buca” parzialmente uno strato di nubi e irradia raggi di luce dall’aspetto geometrico, denso, quasi solido. E che illuminano il pulviscolo nell’aria facendolo brillare. Anche il fotografo meno esperto vi confermerà che questa meravigliosa manifestazione della natura – divina? – è chiamata, per l’appunto, “Effetto Dio”.
Non è dato conoscere la paternità di questa definizione, ma ciò non ne intacca minimamente il fascino. Perciò, che siate credenti o meno, mi permetto un suggerimento: sollevate più spesso gli occhi al cielo e, quando avvisterete un “effetto Dio”, lasciatevi sedurre da questo prodigio.
Perché non è necessario frequentare un luogo di culto per contemplare, rapiti, la poesia del creato.

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