giovedì 5 marzo 2009

BRUCIAPENSIERI

















Tagli pinteriani
A cura di Gregorio Scalise

Un grande autore ha una sua collocazione, quasi un canone, si stabilisce una tradizione di accordo ma anche di disaccordo sempre però in una circolarità di punti stabiliti “Sul teatro di Pinter – affermava Paolo Bernittetti, ed era il 1979 ( Teatro inglese contemporaneo, ed. Savelli ) - sono stati scritti centinaia di articoli, recensioni, saggi, interi volumi”.
Ma a che punto è il rapporto della critica con un autore.? Non è che la critica non colga punti importanti se non decisivi o che non sappia collocare e spiegare. Non si tratta di questo. Si tratta di sollevare qualche legittimo dubbio non solo sulla teoria teatrale, ma in generale sulla teoria. Sembrano spesso le note critiche delle digressioni aggiunte a posteriori e con finalità che riguardano sino ad un certo punto l’opera.
In realtà il linguaggio della critica spesso rinvia a se stesso e soprattutto si confronta con altri linguaggi critici passando “anche” per l’autore in questione. Affrontare un autore senza puntelli critici significa anche leggerlo in modo un po’ disinvolto, forse sprovveduto. Vi sono infine dei piccoli segreti, delle rivelazioni, delle situazioni che solo chi scrive o ci ha provato con una certa convinzione, conosce.
Questi “ sospetti” è difficile esporli con una luce critica intellettualmente impegnata, proprio perché non sono grandi questioni e inoltre la loro importanza sta proprio nella loro semioscurità. Viceversa la critica investe questi passaggi, questi piani e li riporta verso un livello elevato dove però si perde senso e sapore. Se ad esempio penso ad Old Times non posso fare a meno di riflettere anche sulla data della sua pubblicazione ( by Harold Pinter), 1971. Da allora sono trascorsi meno di 40 anni. Sono pochi, sono molti? Naturalmente qui non troveranno spazio gli argomenti nobilissimi che parlano dell’eternità dell’opera d’arte.
.L’autore non sa mai se si tratta di opera d’arte e quanto all’eternità ha più di una perplessità. Un autore in genere vive di “ qui e ora”. E’ l’unica cosa che sa e di cui si fida Mi conforta in queste dichiarazione di intenti le interviste e le stesse dichiarazioni di Pinter, come per esempio l’interviste rilasciate a Kenneth Tynam, e siamo nel 1960.
Ma cosa è successo nei quaranta anni che si separano da Old Times? E’ successo di tutto, ma soprattutto il tempo ha slavato un po’ il testo, così ad esempio la tecnica di linguaggio di Kate, nelle sue risposte, rivela sempre di più la sua intenzione o di non rispondere o di dissolvere il senso delle domande, sino a diventare una caratteristica troppo evidente.
Molti hanno insistito sul rapporto fra i drammi di Pinter e la sua esperienza personale, ci ricorda ancora Bernitetti, così ad esempio No Mans Land nascerebbe dalla preoccupazione di Pinter sul suo ruolo intellettuale, esemplificato nella figura di Hirst, (quello che teme di diventare) e di Spooner (quello che sarebbe diventato se non avesse avuto successo).
Harold Pinter è nato a Londra nel 1930, collocabile quindi nella generazione dei giovani arrabbiati. Diversa, però, l’ispirazione e la direzione. Pinter crede nella parola e su di essa lavora con precisione artigianale .E il paradosso consisterebbe nel fatto che per Pinter la parola è la misura del silenzio degli uomini.Ma è vero sino in fondo? Non è attraverso la parola e la sua ambiguità che Pinter opera lo svelamento dei suoi personaggi?
Detto forse un po’ alla buona e con una certa impazienza per capire Pinter occorre avere sensibilità ed orecchio per la cultura del primo novecento, quella di rottura cioè ( per non dire avanguardia, perché poi si rischia di non capire più niente ).
Insomma, l’arte e la scrittura di contestazione. Ci sono dentro tutti i maggiori, da Kafka e Beckett agli italiani Bontempelli, Palazzeschi (ma vi rientrerebbe a pieno titolo anche Pirandello, di cui è possibile fare una lettura pinteriana). Sino alle arti figurative dove non c’è che l’imbarazzo della scelta.
E’ possibile riassumere in poche battute l’ideologia del ‘900? Scomparsa del paesaggio, del soggetto, assenza delle forme e del senso tradizionale tutto a favore di un senso altro, tutto da scoprire. Questo nodo è stato importante per tutto il secolo, poi si è sempre più attenuato sino ad aprire le porte a quella che oggi potremmo definire “ arte del passato”.
La memoria, ci dice Pinter, è un fatto importante e discutibile: si può non solo ricordare male ma anche inventarsi fatti mai esistiti. Questo per quanto riguarda le singole persone. Ma applicare queste osservazioni su scala più grande, come a dire a tutto il secolo?
E a conti fatti non viene voglia di fare, ma a chi, una domanda un po’ perfida: non è che l’arte di rottura del novecento aveva come fine celato nella sua ideologia lo scherzo di riaprire a fine secolo le porte del passato e per farci poi passare di tutto? Se così fosse sarebbe stato un sottile e enigmatico tradimento. La teoria della rottura, della scomparsa del soggetto, sapeva già come sareb be andata a finire.
Viene voglia di chiudere con le battute finali del primo atto di Tradimenti. “Non importa, è tutto passato. Sì? Che cosa è passato? E’ tutto finito”.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti per la sua rubrica

Sandra Alboreti

Anonimo ha detto...

cara Sandra Alboreti, la ringrazio. I complimenti sono quasi sempre benvenuti. Se vuole si faccia viva più spesso. a presto, gregorio scalise

Anonimo ha detto...

..la sua rubrica mi piace e sono spiacente di non avere il tempo per poterla leggere con l'atrtenzione che merita
Gemma Lerici

Anonimo ha detto...

cara Gemma, la capisco perfettamente..il tempo è una delle mancanze della nostra vita quotidiana.. per averne a sufficienza dovremmo vivere in una isola deserta...ma in quel caso che cosa ce ne faremmo? a presto, gs

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